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La via giudiziaria alla religiosità: la vicenda di Scientology

L'illustre giurista Nicola Colaianni propone un commento alla seconda sentenza della Corte di Cassazione (1997).

Tratto da: Il Foro Italiano, 1998, II, pagg. 396 e ss.

Ricerca e trascrizione a cura di Floridi L.

 
1. - Continua il contrasto tra giudici di legittimità e di merito sulla natura di associazione per delinquere della "Chiesa di scientologia" e siamo ormai, com'era facilmente prevedibile, nel mezzo di una disputatio religiosa tanto elegante quanto non risolutiva della questione indicata. Ammesso, infatti - come le censure mosse dalla Cassazione alla sentenza d'appello lasciano trasparire -, che Scientology sia un'associazione o confessione religiosa, se ne dovrebbe dedurre l'estraneità a reati imputati a singoli aderenti ma non potrebbe per ciò solo escludersi che al suo interno costoro, appunto, abbiano promosso in quanto tali un'associazione per delinquere: così come analoga esclusione non potrebbe operarsi per gli appartenenti ad un'associazione religiosa, ad esempio, cattolica, estranea alla loro condotta (come nel caso dei frati francescani del Convento di Mazzarino: Cass. l0 febbraio 1965, Azzolina, Foro it., 1965, II, 307, ricordato da FlNOCCHIARO, "Scientology" nell'ordinamento italiano, in Dir. eccles., 1995, I, 613).

Ma tant'è: la rilevanza del carattere religioso dell'organizzazione ai fini penali, saggiamente e laicamente esclusa dal giudice d'appello, era stata valorizzata da Cass. 9 febbraio 1995, cit., sulla base appunto dell'argomento dell'incompatibilità del carattere religioso con una finalità criminale. Tracciata così la via giudiziaria per accertare la religiosità di una organizzazione, ne è conseguita la poco laica disputa in corso, in cui App. Milano 2 dicembre 1996, che si riporta nella parte essenziale, ha giudicato Scientology non percepita quale confessione religiosa nella comune considerazione, giungendo alla conclusione che l'opposta autoqualificazione contenuta nello statuto sia solo uno «stratagemma già in precedenza utilizzato altrove dall'organizzazione per sottrarsi ai problemi legali che si ponevano sulla strada della sua attività": una delle "autoqualificazioni di comodo, volte strumentalmente a conseguire i vantaggi dalla legislazione alle confessioni religiose».

Per vero, prima di ancorarsi - per motivare tale giudizio - ai parametri indicati dalla Corte cost. 195/93, cit., e ricordati dalla Cassazione, la corte milanese aveva preso il largo e, come se l'indagine devolutale non potesse prescindere da una definizione di confessione religiosa, ne aveva formulato una, mutuata da «autorevole dottrina» anche se, come osservato dalla Cassazione, «non attribuita da alcun autore né altrimenti qualificata» (ma non è, sostanzialmente, che la definizione di FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, Bologna, 1995, 74 s.: si tratta del più diffuso manuale, indicato come testo per lo più obbligatorio o in alternativa, in oltre la metà delle università secondo l'indagine di FIORITA, L'insegnamento del diritto ecclesiastico: osservazioni statistiche, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1997, 441 s.), secondo cui confessione religiosa è una «comunità sociale avente una propria concessione del mondo, che si basa sull'esistenza di un essere supremo, in rapporto con gli uomini, ed al quale questi devono obbedienze, rispetto e venerazione».

Sul punto la Cassazione coglie diritto nel segno quando rileva che tale definizione è parziale, in quanto «ispirata alle religioni di ascendenza biblica», e costituzionalmente illegittima, in quanto la mancanza nell'ordinamento di una definizione del concetto di religione «non è casuale» - e tale, quindi, da richiedere al giudice di supplirvi per via interpretativa - ma ispirata alla necessità di non l«imitare con una definizione precostituita e per ciò stesso restrittiva l'ampia libertà religiosa assicurata con la normativa costituzionale»: un consapevole e voluto, quindi, «distacco laicale dalle dottrine, dalle rivelazioni o dalle tradizioni caratterizzanti sul piano oggettivo una religione esistente o una sopravveniente», che rende inammissibile il sindacato sull'essenza di una fede o di un culto da parte dei pubblici poteri.

Ed è significativo, altresì, che il giudice di legittimità tragga tale conclusione, non solo da una corretta ermeneutica costituzionale ma altresì dal d.p.r. 3 gennaio 1991 di riconoscimento come confessione religiosa dell'unione buddhista, che ha costituito in materia un punto di svolta e, del tutto verosimilmente, di non ritorno: si tratta, infatti, di una formazione socia1eateistica, nel senso che, pur non negando l'esistenza di divinità, comunque se ne disinteressa e presta attenzione piuttosto ai tre gioielli Buddha, Dhanna e Sangha (cfr. BOTTO, Buddha e il buddhismo, Milano, 1984; BREZZI, Le grandi religioni, Roma, 1994, 39).

Anche l'aspetto culturale appare di problematico inquadramento, il culto consistendo in sedute di meditazione in cui sono difficilmente distinguibili gli aspetti spirituali da quelli psicologici: tuttavia; secondo il parere del Cons. Stato 29 novembre 1989, n. 2158, «la circostanza che un'istituzione non svolga riti o li svolga in minima parte non vale a restringere il campo di applicabilità dell'art. 2», L. 1159/29 (che disciplina l'erezione in ente morale degli istituti di culti diversi dalla religione cattolica).

In realtà con quel riconoscimento il nostro paese non ha fatto che allinearsi all'universale considerazione del buddhismo come religione mondiale con l'implicita conseguenza che la fede di un essere supremo, come qualsiasi forma di teismo, non è connaturata all'idea di religione (ed infatti nessuno dubita della natura di religione dell'induismo, che pure secondo il sistema filosofico Samkhya non è né teistico né panteistico: cfr. BREZZI, op. cit., 29) e non costituisce pertanto un criterio corretto di valutazione della religiosità di un'associazione.

2. - Ma la parte più interessante della nuova pronuncia della Cassazione è sicuramente quella relativa all'autoqualificazione statutaria, di cui il giudice di legittimità - con un atteggiamento dissimulatorio ma contraddittorio, risalente alla Corte costituzionale, - continua in premessa ad escludere la sufficienza salvo a rilevare il difetto di motivazione della sentenza di merito sul fatto che non siano stati ritenuti «indici sicuri» del carattere religioso né la ricorrenza nello statuto dei sostantivi «chiesa e religione» né il «riferimento ad opere letterarie religiose, a riti e alla cura delle esigenze spirituali» o ai «fedeli»: vale a dire, appunto l'autoqualificazione di Scientology nello statuto come chiesa.

Secondo la corte d'appello, invero, si tratterebbe di «autoqualificazioni di comodo, volte strumentalmente a conseguire i vantaggi offerti dalla legislazione alle confessioni religiose» e comunque a sviare le indagini penali avviate negli anni ottanta sull'organizzazione; come dimostrerebbe l'introduzione della nuova denominazione di chiesa solo nello statuto del 1985. Per vero, tale denominazione ricorre più volte già nello statuto del "Dianetics Institute di Milano" dello luglio 1982, come del resto riconosce in altro punto della sentenza la stessa corte d'appello, ed è ragionevolmente collegabile per via interpretativa ad alcuni riferimenti, come quello alla «natura immanente ed immortale» della persona; contenuti nello statuto del "Hubbard Dianetics Institute" del 20 gennaio 1977 parimenti citato dalla corte, e comunemente assunti in sociologia, siccome si trovano abitualmente in una religione, come indizi della religiosità dell'associazione.

Ma, tralasciando tali trascuratezze che appaiono frutto di una lettura parziale degli statuti, rileva che i criteri indicati dalla Corte costituzionale sono, secondo la Cassazione, «meramente formali» e non consentono perciò - se non partendo da una pregiudiziale definizione di confessione religiosa, cui sono di ostacolo i ricordati limiti costituzionali- un sindacato volto ad evidenziare una «contraddittorietà intrinseca», cioè sul piano sostanziale, delle finalità indicate nello statuto.

L'autoqualificazione statutaria è assunta così ad «indice sicuro» della religiosità fino a prova contraria della sua effettività. Opera quindi sul piano processuale il potere dell'amministrazione pubblica di esaminare i reali «connotati operativi» (così per gli enti Cons. Stato l0 maggio 1989, n. 767, Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1990, 740) e di provare la dissimulazione (ad esempio per esenzioni ed agevolazioni tributarie) dei fini realmente perseguiti o addirittura la rilevanza penale dell'attività in concreto svolta dalla sedicente confessione religiosa. Su questo piano l'autoquallficazione è una semplice presunzione, che - come del resto rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza 467/92 (Foro it., 1994, I, 2987) - «non è sottratta alla valutazione della sua reale natura, secondo i criteri desumibili dall'insieme delle norme dell'ordinamento».

3. - Nella specie, anche a ritenerli svolti a tale stregua e non - scorrettamente - alla stregua di una pregiudiziale definizione di confessione religiosa, i motivi addotti dai giudici di merito per negare il carattere religioso di Scientology vengono svalutati dalla corte come illogici in sé (per esempio, la mancanza di una concezione originale del mondo o del concetto di salvezza dell'anima) o in comparazione, prevalentemente, con le chiese cristiane.

Questa seconda linea di confutazione è metodologicamente corretta perché, comparando gli elementi con funzione equivalente delle varie religioni, favorisce un approccio neutrale e non contaminato da tradizioni e linguaggi di alcune di esse ed una convergenza con i risultati condivisi dagli studiosi di scienze sociali: così sul percorso di liberazione elaborato dal fondatore e quindi sulle pratiche di auditing e di purification, che costituiscono le forme principali di culto equivalenti ai riti di passaggio o ai sacramenti delle chiese cristiane (PACE, op. cit., 103) e come questi svolgono una funzione anche terapeutica (riscoperta ormai nelle chiese cristiane da teologi come DREWERMANN, Parola che salva, parola che guarisce, Bracia, 1994, 100 s.); così anche sulla «compatibilità del credo di Scientology con quello di altre confessioni», che è proprio anche di altre religioni non esclusiviste - a differenza di quelle del «libro» - come quelle orientali e, in particolare, il buddhismo.

Si può aggiungere che la supposta anomalia di questa «doppia appartenenza» appare molto da ridimensionare: per un verso, l'aderente a Scientology tende con il passare degli anni ad eliminare di fatto i legami con la fede precedente, praticandola al massimo esteriormente (per esempio nelle festività: cfr. WILSON, "Scientology", Analisi e studio comparato delle sue dottrine e sistemi religiosi, Los Angeles, 1995; trad. it. a cura della "Chiesa nazionale di Scientology d'Italia", 49); per altro verso, la contaminazione di valori, religiosi e non, caratteristica in un'epoca di multiculturalismo e di pluralismo religioso, in cui le religioni tradizionali sono trattate non come un modello obbligatorio di comportamento ma come un «capitale simbolico flottante» (HERVIEU-LEGÉR, Tendenze e contraddizioni della modernità europea, in AA.VV., La religione degli europei. Fede, cultura religiosa e modernità in Francia, Italia, Spagna, Gran Bretagna, Germania, Ungheria, Torino, 1992, I, 7), nel quale individui e gruppi prelevano liberamente costruendo un proprio «assortimento di significati ultimi» (secondo l'acuta definizione che già nei primi studi sulla secolarizzazione formulava BERGER, La religione invisibile, Bologna, 1976, 144 ss.; sull'andamento "a scalare" delle credenze e delle pratiche religiose in Italia, v., di recente, GARELLI, Forza della religione e debolezza della fede, Bologna, 1996, 193 ss.).

Per vero, i termini di paragone addotti dalla Cassazione non sempre sono convincenti e talvolta appaiono anzi improbabili: cosi dire che anche «san Tommaso definì scienza la teologia» sembra confondere fede, o credenza, e teologia, che in quanto riflessione sui contenuti di fede si svolge come una disciplina scientifica, e tradisce l'affidamento a vecchi paradigmi non solo della teologia ma anche della scienza, messi in crisi e ormai abbandonati; analogamente, paragonare, per svalutarne l'efficacia indiziante, le metodiche di vendita di Scientology, definite dalla corte «sconcertanti per la loro intrinseca aggressività», a quelle di raccolta dei fondi «in passato adoperate dalla chiesa», citando addirittura l'episodio di Anania e Saffira narrato negli Atti degli Apostoli, è frutto di una comparazione sorprendentemente anacronistica e di una superficiale esegesi letteraria e storica, che considera realmente avvenuto un prodotto dell'immaginazione popolare narrato, come stabilito già nel quarto secolo da Gerolamo, a scopo edificante (si può vedere per tutti il Grande commentario biblico a cura di BROWN, FITZMYER e MURPHY, Brescia, 1973 (nuova ed. 1997), 1057. Sul pensiero neoparadigmatico nella scienza e nella teologia, v. CAPRA, STEINDL-RAST e MATUS, L'universo come dimora. Conversazioni tra scienza e spiritualità, Milano, 1993, 11 ss;).

Ma, al di là della plausibilità di ciascun argomento, va rilevata una promozione dell'efficacia, almeno in prima approssimazione, dell'auto-qualificazione statutaria: questa può essere, bensì, contrastata ma sulla base di elementi fattuali e non alla stregua di un'astratta ed aprioristica nozione di religione e di confessione religiosa (volutamente) inesistente nell'ordinamento e perciò non legittimamente formulabile da parte del giudice dello Stato se non a costo di un nuovo giurisdizionalismo.

4. - Ne consegue un uso del diritto non in chiave preventiva verso i nuovi movimenti religiosi, che del resto emerge anche dall'interpretazione dei criteri del riconoscimento pubblico e della comune considerazione. Il primo di essi è interpretato dalla corte in senso ampio e non formale: non, cioè, come riconoscimento della personalità giuridica, bensì come riconoscimento «di provenienza pubblica», sia pure incidentale ed indiretto, soltanto agli effetti del procedimento cui inerisce, sì da attagliarsi non solo alle sentenze dei giudici ordinari e tributari ma - intendendo pubblico come "popolare" - anche ai pareri di esperti e alle stesse dichiarazioni degli adepti, che del popolo fanno parte.

La validità di questa interpretazione estensiva appare forzata e francamente contraddittoria con la dichiarata insufficienza dell'autoqualificazione; questa, pur derivando dalla volontà unanime dei fondatori contenuta formalmente in uno statuto, sarebbe priva, tuttavia, dell'efficacia propria delle semplici dichiarazioni degli adepti. Non che questi elementi e altri, come i riconoscimenti incidentali (per esempio al solo scopo di motivare un contributo finanziario da parte di qualsiasi comune od ente pubblico) e soprattutto le sentenze, non abbiano valenza oltre che sociologica (data l'importanza - ai fini della qualificazione di un movimento come religione - che le scienze sociali attribuiscono alla percezione dei principi dottrinali come religiosi da parte dei loro adepti: cfr. WILSON, op. cit., 54) anche giuridica: essi però rilevano non direttamente, quali riconoscimenti pubblici, ma indirettamente perché contribuiscono a creare quella "comune considerazione" che secondo la Corte costituzionale può essere apprezzata, in ultima analisi, per valutare la religiosità della confessione (conf. pare FINOCCHIARO, op. cit., 609, che, ricordati i parametri individuati dalla Corte costituzionale, rileva come Scientology «è stata considerata come religione da varie pronunzie giurisdizionali italiane»).

In effetti, la possibilità di procedere a questo ragionevole inquadramento risulta preclusa alla Cassazione dalla limitazione - operata per contrastare l'equipollenza dell'espressione a quella di «opinione pubblica dell'intera comunità nazionale» ritenuta dalla corte d'appello sulla scia di una risalente dottrina (BARILLARO, Considerazioni preliminari sulle confessioni religiose diverse dalla cattolica, Milano, 1968, 121: «opinione pubblica formatasi nella società italiana») - dell'accezione della comune considerazione alla «ponderata e razionale valutazione degli elementi di giudizio disponibili», quale dunque non può aversi «al di fuori e oltre la cerchia dei dotti ed in genere degli interessati al problema» (e Scientology è ormai munita del giudizio favorevole al suo inquadramento tra le confessioni religiose espresso in numerosi affidavit da studiosi di sociologia, storia e diritto delle religioni).

È da condividere la preoccupazione della Cassazione di non dare ingresso, anche in questo delicato settore dello svolgimento della personalità umana, con il termine "opinione" a "sensazioni e moti d'animo «non razionali, cui si fa spesso riferimento in un'epoca di "sondocrazia» (l'espressione è di RODOTÀ, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, 1997, 55. E cfr., per il mutamento della democrazia indotta dai sondaggi, ZAGREBELSKY; Il "crucifige!" e la democrazia, Torino, 1995, spec. 93 ss.), e con l'aggettivo "intera" ad una sorta di referendum che finirebbe per far dipendere la religiosità di una formazione sociale dall'opinione della maggioranza. Essa coglie pure nel segno laddove critica il riferimento alla sola comunità nazionale in un'epoca in cui la globalizzazione ha investito anche la cultura e l'informazione al punto che si parla di "uniformazione culturale" (l'espressione è di LATOUCHE, L'occidentalizzazione del mondo. Saggio sul significato, la portata e i limiti dell'uniformazione planetaria, Torino, 1992).

Ma ciò non giustifica una forzatura dei termini, adoperati dalla Corte costituzionale in maniera certamente non casuale - come osserva la Cassazione - ma, appunto, riecheggiante alcune posizioni dottrinali: le quali indifferentemente avevano fatto uso di quei termini in espressioni - da «opinione pubblica formatasi nella società italiana», a «opinione comune», a «massime di comune esperienza» (le prime due espressioni sono di BARILLARO, op. cit., 121, 123; l'altra, più recente e precisa di BERLINGÒ, Enti e beni religiosi in Italia, Bologna, 1992, 33) - da cui emerge un riferimento alla comunità e non alla sola opinio doctorum. D'altro canto, il riconoscimento dell'Unione buddhista o dell'intesa con le comunità ebraiche presuppongono una comune considerazione percepibile nel più vasto ambito comunitario, tra la "gente comune", e non nella ristretta cerchia degli studiosi e degli interessati al problema, per i quali è viceversa fuorviante la riduzione a semplici religioni del buddhismo e dell'ebraismo. Quest'ultimo, in particolare, nel quale «religione e nazione si sovrappongono in modo teso» (LEVI DELLA TORRE, Essere fuori luogo. Il dilemma ebraico tra diaspora e ritorno, Roma, 1995,28), si autoqualificò attraverso l'Unione delle comunità italiane come confessione al solo scopo di stipulare l'intesa (cfr. FUBINI, L'intesa, in La rassegna mensile di Israel, 1986, n. l, 34; sul carattere riduttivo della definizione dell'ebraismo come religione, cfr., di recente, STEFANI, Gli ebrei, Bologna, 1997, 12 ss.).

5. - Per evitare che su Scientology continui questa sorta di guerra di religione importa quindi osservare che l'autoqualificazione come religione e come chiesa contenuta nello statuto - già per sé, a livello presuntivo, sicuro indice di religiosità dell'organizzazione - corrisponde nondimeno alla comune considerazione proveniente non solo dall'interno, dagli stessi adepti, ma anche dall'esterno e dall'estero, in quei paesi dove prima si è sviluppata. In particolare, Scientology, nata in America, ivi ormai ha ottenuto definitivamente nel 1993 dall'Internal revenue Service il riconoscimento come associazione religiosa incorporated. Il che comporta che - come rilevato dalla Cassazione (e già in dottrina da FINOCCHIARO, "Scientology", cit., 606) - in forza dell'art. 2.2. del trattato di amicizia, commercio e navigazione concluso a Roma il 2 febbraio 1948 (e ratificato con L. 18 giugno 1949 n. 385) tra l'Italia e gli Stati uniti essa dovrebbe essere riconosciuta in Italia e ammessa a praticarvi il proprio culto e a far opera di proselitismo se «della chiesa statunitense fosse stata diretta emanazione e non fosse stata costituita invece come autocefala chiesa di scientologia d'Italia». È del tutto evidente che la medesima associazione non può esser considerata in sé religiosa o criminale a seconda della veste formalmente assunta: nel caso, quale emanazione, o non, della chiesa madre.

Ad analoga conclusione conduce un più ampio esame comparato, tanto più necessario quando un fenomeno sociale supera, come quello religioso, i confini degli Stati e non può ricevere - se non patologicamente (è il caso delle confessioni diverse dall'ortodossa in Grecia, il cui proselitismo è sanzionato penalmente: in contrasto con l'art. 9.2 della convenzione europea dei diritti dell'uomo, come deciso dalla Corte europea di Strasburgo il 25 maggio, 1993, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1994, 734) - valutazioni diverse o addirittura opposte da ordinamenti che fanno parte del medesimo sistema di valori. Ora, come emerge dalla giurisprudenza recentemente passata in rassegna da ONIDA, op. cit.. 989, Scientology è stata riconosciuta come associazione religiosa da organi giudiziari di diversi paesi (oltre che di altri continenti: Australia, Sud Africa) dell'Unione europea (Austria e Francia: cfr. Cour d'appel di Lyon 28 luglio 1997, cit.).

Vero è che - a parte la posizione negativa a tutto tondo della Spagna (ribadita dal Tribunale supremo con decisione 25 giugno 1990, n. 11208, Foro it., Rep. 1992, voce Diritto comparato, n. 275, e Dir. eccles., 1990, II, 288, e riconducibile all'art. 3, cpv., della legge organica 5 luglio 1980 n. 7, sulla libertà religiosa), che non appare sintonizzabile con il principio di laicità del nostro ordinamento -, in altri paesi come l'Irlanda, il Belgio (cfr. FERRARI-IBAN op. cit., 67 s.) e la Germania si registra un contrasto di giurisprudenza: ma, almeno con riferimento a quella tedesca, si ha l'impressione che le decisioni negative - più che escludere la natura religiosa o comunque ideologica ai sensi degli, art. 4 e 140 GG - muovano soprattutto dalla preoccupazione di impedire che la dottrina religiosa o filosofica «costituisca solo un pretesto per perseguire scopi economici» (così il Tribunale federale del lavoro del 22 marzo 1995, cito da ONIDA, op. cit., 997).

Sotto questo profilo la situazione della Germania sembra più vicina a quella italiana, in cui pure si nutre fondamentalmente la stessa preoccupazione: con l'avvertenza però che - per quanto il clamore di stampa suscitato dalla vicenda di Milano di cui alle sentenze in epigrafe possa far pensare il contrario - in realtà il contrasto giurisprudenziale è molto circoscritto. Dalla documentazione fornita da Scientology risulta infatti che ben quarantasei decisioni di commissioni tributarie - in gran parte, tuttavia, non passate in giudicato - hanno riconosciuto il diritto all'esenzione dalle imposte previsto per le associazioni con scopo religioso o culturale, analogamente, si contano undici sentenze di assoluzione da reati tributari.

Si può dire, quindi, che se non ancora il "diritto vivente", la giurisprudenza prevalente considera Scientology, conformemente alla sua autorappresentazione, un'associazione religiosa: non è in definitiva ritenuto di ostacolo il fatto che si tratti di una "religione a pagamento" e cioè che i servizi (tranne il primo, a quel che sembra) siano offerti - a differenza, tuttavia da non sopravvalutare, che nelle chiese tradizionali - esclusivamente dietro corrispettivo, anche oneroso. D'altro canto, il rischio di autoqualificazioni di comodo formulate al solo scopo di fruire di norme favoritive è connaturato allo stato sociale, che così promuove le attività desiderate, e può essere ovviato, oltre che con l'intensificazione dell'attività di verifica e di controllo, anche in via preventiva con la generalizzazione di quelle norme nei confronti di tutte le formazioni sociali no profit con finalità altruistiche o umanitarie, sì da non indurre le associazioni ad autoqualificarsi come religiose o culturali al solo scopo di fruirne.

Peraltro, tale rischio è irrilevante a livello penale in quanto il motivo religioso di un fatto costituente reato non ne elimina l'antigiuridicità e quindi nulla impedisce che i membri di Scientology come di qualsiasi confessione religiosa - anche di maggioranza, come la chiesa cattolica - vengano perseguiti per qualsivoglia reato, compreso quello di associazione per delinquere: purché contestato ai membri che si siano effettivamente associati a tale scopo e non genericamente a tutti i membri dell'associazione in quanto tale. Come ha infatti rilevato la Cassazione, è illogico affermare la partecipazione di tutti gli adepti di Scientology ad un'associazione criminale costituita solo per fini di lucro quando gli utili non sono destinati ad essere suddivisi tra di essi, ma restano a disposizione dell'organizzazione: che, al di là, della fuorviante disputa sulla religiosità di Scientology, costituisce nella prospettiva costituzionale di un diritto penale laico l'effettivo punto di crisi di sentenze che basano la condanna sulla opinata non religiosità di un'organizzazione.

Nicola Colaianni

 
 
 
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