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Corte di Appello di Milano: Sentenza del 5 novembre 1993 (estratti) - prima parte

Tratto da: Il Foro Italiano, 1995, Parte II, 1995, Pagg. 689-730.

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Ricerca, trascrizione e introduzione a cura di Floridi L.

 
La sentenza della Corte di Appello di Milano del 5.11.1993 correggeva l'eccessiva indulgenza con cui in primo grado era stato pronunciato il giudizio sull'organizzazione di Scientology.

Ribaltando la decisione del Tribunale, i giudici d'appello condannavano 33 imputati per il reato di associazione a delinquere ritenendo che il compimento di determinati fatti che, secondo le leggi dello stato, costituiscono reato, non può escludere la responsabilità penale degli autori di essi, ancorché abbiano agito come rappresentanti di una confessione religiosa o appartenenti ad essa.

I giudici partivano dall'insegnamento secondo il quale non è necessario accertare se Scientology sia o meno, come si autoqualificava, una "chiesa" poiché era invece doveroso esaminare esclusivamente le concrete modalità di azione degli organizzatori. È irrilevante che l'azione sia dovuta a motivi o si avvalga di fini di carattere religioso, perché il giudice di uno Stato laico, se è incompetente in materia confessionale, deve considerare le modalità di azione dei singoli e dei gruppi. Ove questa si estrinsechi in fatti costituenti reato, il giudice non può che accertare la responsabilità penale dell'agente o degli agenti.

Sulla base di tali premesse i giudici d'appello condannavano svariati dirigenti dell'organizzazione per il reato di associazione a delinquere sulla circostanza che le condotte illecite poste in essere dagli altri adepti erano non solo ben note a coloro che guidavano l'organizzazione, ma anche da essi condivise e approvate.

La sentenza si segnala inoltre per aver condannato, ribaltando la decisione dei giudici del primo grado, svariati imputati per il reato di truffa, estorsione ed esercizio abusivo della professione medica.

La sentenza richiama altresì l'attenzione del lettore per la minuziosità con cui descrive le tecniche di "vendita" dei servizi da parte degli adepti dell'organizzazione (sottolineando la natura prettamente commerciale dell'associazione) e le notevoli difficoltà che rasentavano quasi l'impossibilità degli ex adepti ad ottenere il rimborso delle somme versate all'organizzazione.

La sentenza infine è arricchita dalla articolata descrizione dei fatti contestati agli imputati e da stralci delle drammatiche testimonianze delle parti offese.

 
 
 
CORTE DI APPELLO DI MILANO

- Sentenza 5 novembre 1993 -

(Presidente Virzì, Est. Pugliese; Imp. Segalla ed altri)


Ordine pubblico (Reati contro l') - Associazione per delinquere - Chiesa di Scientology - Religiosità - Irrilevanza (Cod. Pen., art. 416).

Ordine pubblico (Reati contro l') - Associazione per delinquere - Chiesa di Scientology - Presupposti) Cod. Pen., art. 416)

Concorso di persone nel reato - Reato associativo - Reati - Fine - Concorso - Configurabilità - Presupposti (Cod. Pen., artt. 110,416).

Estorsione - Truffa aggravata dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario - Distinzione - Estorsione - Configurabilità - Fattispecie (Cod. Pen., artt. 629, 640).

 

 
Ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere in capo agli aderenti ad una organizzazione autoqualificatasi come religiosa (nella specie, la c.d. «chiesa Scientology» e la sua diretta emanazione «centri Narconon»), ancorché si sia manifestata prevalentemente attraverso l'esercizio di attività commerciali, è necessario e sufficiente verificare se le singole condotte di reato siano state poste in essere in esecuzione di un programma stabilito e di direttive provenienti dai vertici dell'organizzazione; ciò posto, è del tutto irrilevante l'indagine circa la esatta natura delle idee professate dall'organizzazione stessa. (1)

L'organizzazione «chiesa di Scientology» (così come la sua diretta emanazione «centri Narconon»), costituita con finalità commerciali lecite da raggiungere attraverso l'adozione di metodi conformi alla legge, avendo tuttavia successivamente previsto e programmato un numero indeterminato di condotte illecite come strumento necessario al raggiungimento degli scopi stessi, è da ritenere costituisca una associazione per delinquere; di tale delitto rispondono sia gli appartenenti agli organi direttivi sia gli operatori che abbiano in concreto fornito un contributo rilevante all'organizzazione, ai sensi dell'ipotesi meno grave di cui all'art. 416, 2° comma, c.p. e non di quella più grave prevista dal 1° comma, non essendo stata raggiunta la prova che l'accordo criminoso sia stato frutto di scelte operate nell'ambito della sede italiana dell'organizzazione stessa. (2)

Dalla sussistenza del reato di associazione per delinquere non discende ex se una affermazione di responsabilità, a titolo di concorso morale, per i vari reati-fine esecutivi del programma criminoso, nei confronti di coloro che hanno partecipato, anche rivestendo ruoli gerarchicamente rilevanti, all'associazione stessa, essendo necessario individuare ulteriori elementi che dimostrino il collegamento dei singoli soggetti con i fatti. (3)

La reiterazione, nei confronti di soggetti particolarmente fragili e suggestionabili, di comportamenti molesti idonei a coartare la loro libertà di autodeterminarsi in ordine ai propri interessi patrimoniali, preconizzando altresì mali futuri (nella specie, malattie gravi ed incurabili) laddove non si fosse addivenuto all'esaudimento di pressanti richieste, costituisce minaccia ai sensi dell'art. 629 c.p. e non già raggiro aggravato dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario, di cui all'art. 640, cpv., n. 2,c.p.. (4)


Svolgimento del processo

l) I fatti che hanno dato origine al presente procedimento

A) Premessa. Il 20 gennaio 1977 veniva costituito a Milano, con sede in via Cavallotti 13, lo Hubbard Dianetics Institute (di seguito denominato più brevemente H.D.I.) i cui soci fondatori erano Segalla Gabriele, Ferrero Alberto, Ghio Tiziana: scopo dell'associazione, come si legge nello statuto all'art. 3, era di «presentare e diffondere la scienza conosciuta come Dianetics, nella maniera in cui è stata fondata e in cui può essere ulteriormente sviluppata da Ron Hubbard».

Ron Hubbard, già scrittore americano di fantascienza, aveva pubblicato nel 1950 il libro «Dianetica: la scienza moderna della salute mentale», nel quale teorizzava che le nostre difficoltà terrene possono essere provocate da immagini negative della mente (che egli definiva con il termine "engrammi"), frutto di esperienze dolorose in questa vita o in precedenti reincarnazioni: scopo di dianetica era appunto di eliminare queste immagini negative per arrivare ad uno stato che definiva di clear (chiaro, limpido), per raggiungere il quale occorreva fare un percorso, chiamato bridge (ponte).

Questa teoria suscitò un certo interesse e Ron Hubbard non solo pubblicò numerosi altri libri su questo tema, ma inoltre nel 1954 fondò la "Church of Scientology", con sede principale a Flag in Florida, per la diffusione di questa dottrina, che ebbe ampia eco, con numerosi adepti, in altri paesi; in particolare in Europa le sedi principali furono costituite a Copenhagen in Danimarca e a Saint Hill in Inghilterra. Infine, come si è detto, anche in Italia incominciò la diffusione delle dottrine dianetiche, dopo che nel 1974 era stato aperto, sempre in via Cavallotti un istituto di tecnologia applicata, avente le medesime finalità.

Si legge ancora nello statuto, all'art. 4, che «l'associazione non può svolgere alcuna attività commerciale»; al successivo art. 5 che «è amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre... membri che restano in carica per un anno e sono rieleggibili» (inizialmente fu composto dai soci fondatori, che furono ben presto e con frequenza sostituiti); all'art. 6 che «è validamente rappresentata ed assume validamente obbligazioni con i terzi tramite la firma congiunta dal presidente del consiglio di amministrazione e di quella di un membro di essa»; ed infine all'art. 15 che «l'associazione può costituire ed organizzare associazioni locali che avranno gli stessi fini di questa associazione principale».

In aderenza a questa disposizione ben presto si aprirono in varie parti d'Italia, specie in Lombardia, diverse sedi di tale associazione (lo statuto in questione è allegato al rapporto dell'Ispettorato del lavoro indirizzato al Pretore di Milano nel luglio 1980).

L'attività di H.D.I. si veniva esplicando sin dai primi anni attraverso un'opera di diffusione attuata non solo con la pubblicità sui mezzi di comunicazione, ma altresì con un'intensa opera di volantinaggio: nei volantini si proponeva un test della personalità (denominato Oxford Capacity Analisy - O.C.A., esaminato dal prof. Ferracuti in occasione di una perizia disposta dal giudice istruttore di Roma nel giugno 1982), test del tutto gratuito, che dava modo agli operatori di Dianetics di avere contatti con un numeroso pubblico (visto il numero assai rilevante di persone interessate a sottoporsi a detto test), e di far così conoscere in modo capillare i servizi offerti.

In particolare erano, infatti, previsti i seguenti servizi:

a) corsi di studio, quali «Anatomia della mente umana», «Alti e bassi» «student's hat», «H.Q.D.» (Hubbard Qualified Dianetics), di più facile approccio e di costo contenuto nell'ambito di poche centinaia di migliaia di lire (si deve mettere immediatamente in evidenza che i prezzi dei servizi in questione sono rilevabili da veri e propri tariffari, rinvenuti nelle sedi dell'associazione in occasione di perquisizioni ivi effettuate);

b) altri corsi, definiti "Accademia", assai più elevati non solo di livello ma anche di costo;

c) sedute, denominate di auditing, nel corso delle quali all'audito venivano rivolte dall'auditor determinate domande, volte a fare scoprire quelle che erano state le esperienze del passato, prossimo e remoto, e che esercitavano tuttora un'influenza negativa, sedute spesso attuate con l'ausilio di un apparecchio, chiamato E-meter (che i periti nel presente procedimento hanno indicato come un semplice galvanometro o elettrometro), composto da due lattine, tenute in mano dall'audito, collegate ad una macchina dotata di un ago, che segnalava oscillazione a secondo della pressione esercitata sulle lattine stesse: cicli di auditing cosiddetti "intensivi" (costituiti ciascuno da 12 ore e mezza di sedute) potevano arrivare a costare diversi milioni di lire;

d) programmi, denominati di purification, consistenti nella sottoposizione a saune e nell'assunzione di vitamine, programmi anch'essi di un certo prezzo;

e) cicli di etica, previsti essenzialmente per chi aveva violato le direttive di Hubbard o non riusciva ad adattarsi ad esse, consistenti nella redazione di confessioni scritte (cosiddetti Overts-Withold, più brevemente O/W) e nella sottoposizione a lavori umili, cicli che comportavano in ogni caso una certa spesa.

Il 13 ottobre 1982 si costituiva, sempre a Milano, la Lega nazionale per una civiltà libera della droga, società presieduta da Zanella Giovanni, il cui scopo dichiarato era la cura e il recupero dei tossicodipendenti: emanazione di detto organismo erano i centri Narconon (più brevemente NN), che si diffusero velocemente in varie regioni d'Italia, centri nei quali venivano ricoverati, per una retta non inferiore a lire 1.400.000 mensili (come è emerso dalle testimonianze assunte), giovani drogati.

I metodi adottati per il loro recupero erano stati elaborati da Hubbard e si sviluppavano in tre fasi: la prima di superamento della crisi di astinenza mediante l'assunzione di vitamine; la seconda di "purification" attraverso la sottoposizione a saune e a dosi massicce di vitamine; la terza di studio dei testi di Hubbard.

Questo metodo e la circostanza che gli operatori dei centri Narconon erano per lo più aderenti a Dianetics, avevano manifestato sin dall'inizio gli stretti collegamenti fra H.D.I. e la Lega, accanto alla quale operava la società Futura, con scopi più precisi, puramente di addestramento degli operatori dei centri Narconon.

L'H.D.I., che nel frattempo aveva modificato più volte sede sociale, pur conservando sempre a Milano l'organizzazione più importante, cambiava, infine, la denominazione e ragione sociale (con atto del 31 ottobre 1985) in chiesa di Scientology di Milano: analogamente avveniva per le altre organizzazioni sparse per l'Italia.

B) Le indagini nei confronti dell'organizzazione

Sin dal suo primo apparire in Italia l'H.D.I. suscitò vivaci reazioni; che determinarono numerose indagini da parte di tutti gli organi di polizia giudiziaria nei confronti delle varie sedi dell'organizzazione.

Infatti, dopo che un primo procedimento, già instaurato nel 1977 per il reato di truffa in seguito ad un esposto da parte dell'ordine dei medici e di alcuni cittadini, era stato archiviato, una indagine più approfondita sulla sede di Milano si verificava negli anni 1980 e 1981 ad opera della questura di Milano, della guardia di finanza e dell'ispettorato del lavoro.

Erano, infatti, pervenute varie segnalazioni anonime, secondo le quali - in sintesi - dietro la facciata filantropica, l'organizzazione stava convincendo incapaci e minori «spillando denaro con un riammodernato sistema della "catena di S. Antonio"».

Secondo altri scritti anonimi si sfruttava, invece, il lavoro delle persone, che venivano fatte lavorare almeno dieci ore al giorno (feste comprese) per stipendi irrisori.

Erano, infine, arrivate denunce, che accusavano gli auditors di effettuare un vero e proprio lavaggio del cervello, per di più pretendendo somme ingenti.

Venivano, di conseguenza, eseguite perquisizioni ed ispezioni anche da parte del Pretore di Milano, che portavano innanzi tutto all'accertamento - attraverso la documentazione sequestrata - che questa associazione era strutturata in tre articolazioni, che si occupavano ciascuna di un diverso settore; precisamente:

    a) l'Hubbard Communication Office, che curava i rapporti con le sedi principali dell'associazione all'estero e l'adesione alle direttive di Hubbard;

    b) l'organizzazione, che trattava più specificamente i problemi interni organizzativi;

    c) il pubblico, che si occupava del reclutamento dei nuovi iscritti e di tutti i rapporti con loro.

A capo dell'organizzazione, nel suo complesso, vi era un Executive Director o Commanding Officer. Al di sotto si trovavano tre segretari esecutivi, ognuno alla guida dei tre settori di cui sopra.

Da ognuno di questi ultimi dipendevano tre divisioni, composte a loro volta di tre dipartimenti ciascuna (con la sola eccezione della divisione 6/A, a cui facevano capo ben quattro dipartimenti): ogni dipartimento dunque si occupava di compiti specifici nell'ambito del settore di appartenenza (questi dati sono stati meglio espressi nel rapporto conclusivo della guardia di finanza del 23 febbraio 1988, ma erano già stati sufficientemente delineati con il rapporto, sempre della guardia di finanza del 17 luglio 1981 e nei suoi allegati.)

In occasione di queste prime indagini si accertava anche quale organigramma avesse l'associazione e si acquisiva molta documentazione relativa alle persone, che avevano goduto di servizi presso l'H..D.I.: per ognuno erano infatti predisposti dei folders (cartelle), contenenti la descrizione di tutto quello che concerneva la persona in questione, nonché i suoi dati personali e i già citati O/W, talvolta con confessioni riguardanti reati penali, documentazione che veniva conservata anche in caso di uscita dell'adepto dall'organizzazione, rimanendo qualificato come dead file (fascicolo morto).

Questa capacità dei membri dello staff (gli operatori) di catalogare ogni cosa ed archiviarla era dimostrata inoltre dal rinvenimento di tutte le veline di lettere inviate in America, per descrivere qualsiasi avvenimento verificatosi presso la sede italiana, in particolare l'attività legale e giudiziaria che era stata posta in essere nei loro confronti e le conseguenti loro reazioni.

La loro estrema attenzione verso questo problema è attestata sin dall'inizio del collegamento stabile con un studio legale e dall'attribuzione ad un membro dello staff dello specifico compito di curare i rapporti con detto studio, attenzione giustificata dal fatto che già in America, in Inghilterra e in Francia l'organizzazione era stata sottoposta a numerosi procedimenti civili e penali.

Gli operanti, infine, avevano modo di verificare non solo le strutture dove l'associazione operava (in particolare per le sedute di auditing erano usate piccole stanze, talvolta senza finestra), ma altresì, come si è detto, l'organigramma di H.D.I..

Nel frattempo e nei periodi successivi continuavano a pervenire agli organi di polizia e all'autorità giudiziaria esposti, denunce e querele da parte di cittadini, che lamentavano per lo, più:

    a) l'insistenza e petulanza degli operatori, che riuscivano in questo modo a far loro acquistare nuovi corsi sempre, più costosi;

    b) la loro esosità che aveva portato le persone che man mano aderivano all'associazione a spendere tutto il loro patrimonio se non addirittura a contrarre debiti;

    c) l'estrema difficoltà di avere il rimborso quando o non si era ottenuto il servizio, che era stato sempre pagato anticipatamente, così come specificamente richiesto, ovvero non si era rimasti soddisfatti dei risultati ottenuti (per allettare gli aderenti ad acquistare i corsi era prevista espressamente la possibilità di rimborso in caso di mancato conseguimento dei successi sperati);

    d) il senso di suggestione che erano riusciti a creare intorno all'organizzazione, tale da far apparire il suo abbandono come fonte di gravi mali.

Molte doglianze provenivano, inoltre, da familiari di aderenti all'associazione, i quali lamentavano che i propri congiunti non solo erano diventati irriconoscibili ma non consentivano più alcun rapporto con coloro che erano rimasti estranei all'associazione (coniugi che si separavano, figli che si allontanavano di casa, ecc.).

A causa di alcuni di questi esposti-denunce, nascevano varie indagini ad opera della questura di Bergamo, di Brescia, di Pordenone, di Torino, di Padova, di Roma, di Bologna, di Modena, di Bolzano e davano luogo a vari procedimenti penali per truffa, esercizio arbitrario della professione medica, anche per associazione per delinquere; tutti i predetti procedimenti si concludevano, tuttavia, con l'archiviazione, ovvero con l'assoluzione dei membri di Dianetics, con la sola eccezione del procedimento instaurato dal Pretore di Modena, la cui sentenza di condanna per i reati di cui agli artt. 348 e 640 c.p., veniva sostanzialmente confermata sia in grado di appello sia dalla Corte di cassazione (pur venendo applicato l'ultimo provvedimento di amnistia).

Nel 1986, tuttavia, le indagini riprendevano vigore ad opera del giudice istruttore di Milano, il quale sollecitava accertamenti alla guardia di finanza non solo sulle varie sedi in cui operava la chiesa di Scientology nel territorio di Milano e dintorni (in particolare risultava di estremo rilievo nell'ambito dell'organizzazione la sede sita a Cormano), ma altresì sulle altre sedi dell'organizzazione nelle varie regioni d'Italia, nonché sui vari centri Narconon, legati - come si è detto - alla Lega nazionale e alla soc. Futura.

Anche riguardo a questi centri si erano avute diverse denunce da parte di familiari di tossicodipendenti, i quali - pur avendo pagato costose rette per i figli, ricevendo per lo più assicurazioni circa un loro recupero - avevano spesso dovuto riscontrare la permanenza nel loro congiunto dello stato di tossicodipendenza, nonché le pessime condizioni di vitto, di alloggio e di igiene che era tenuto durante il ricovero.

Venivano anche disposte a partire dal 23 ottobre 1986 intercettazioni telefoniche delle utenze in dotazione alle predette sedi, che portavano ad appurare: a) che detti apparecchi venivano utilizzati frequentemente anche in ore notturne per sollecitare l'adesione di nuovi adepti; b) che l'interesse principale dei membri dell'organizzazione appariva la capacità di vendere servizi sempre più costosi, allo scopo di migliorare le proprie statistiche, come venditori.

Sulla base di tutti questi dati, essendo stati per di più numerosi esposti confermati in sede di deposizione, il giudice istruttore disponeva, il 4 dicembre 1986, le perquisizioni di tutte le sedi della chiesa di Scientology nonché dei centri Narconon, con il sequestro di amplissimo materiale, concernente l'attività dell'organizzazione (la perquisizione veniva anche estesa allo studio dell'avv. Leali di Roma, legato da un rapporto di consulenza con l'associazione) e ordinava altresì la chiusura sia delle sedi dell'organizzazione sia dei centri Narconon.

L'istruttoria, nel corso della quale:

    a) venivano ascoltati come testi tutte le persone che avevano da muovere gravi lamentale contro l'organizzazione;

    b) venivano eseguite diverse perizie (sia medico-legali sulle persone offese, sia tecnica sull'apparecchio E-meter sia anche psico-sociologica sul tipo di attività volta dalla chiesa di Scientology e la sua capacità di conseguimento dei risultati avuti di mira);

    c) venivano interrogati i vari membri dell'associazione, che venivano individuati come responsabili di varie azioni delittuose ravvisate nella specie dalla pubblica accusa;

si concludeva che l'ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio in data 3 ottobre 1988.

2) Le contestazioni e l'ordinanza di rinvio a giudizio

Il metodo operativo, adottato in un processo di così vaste proporzioni dal giudice istruttore, viene messo particolarmente in evidenza con il provvedimento conclusivo dell'istruttoria e occorre, pertanto, prendere le mosse di lì per avere un quadro delle scelte giudiziarie operate e del materiale presentato al vaglio del tribunale.

In sintesi, il giudice istruttore, dopo avere fatto una ampia e articolata disamina dell'attività svolta dai seguaci di Ron Hubbard non solo in Usa, ma anche in Europa e delle azioni legali intentate contro di loro, riteneva che - al di là di un dichiarato scopo religioso (in relazione al quale giudicava opportuno di non doversi addentrare) - l'associazione aveva un sostanziale fine di lucro, che si manifestava con la necessità e l'urgenza di vendere a chiunque servizi sempre più costosi, fino ad arrivare all'esaurimento delle risorse patrimoniali dell'acquirente.

Per raggiungere questo scopo - secondo il giudice istruttore - venivano attuate tecniche, che - per la loro reiteratezza, continuità e sostanziale aderenza ai principi di Ron Hubbard, messi appunto in evidenza nella parte introduttiva - non potevano essere considerate occasionali e devianti ad opera di qualche singolo operatore.

In particolare metteva in evidenza - sulla base delle testimonianze assunte, delle intercettazioni telefoniche compiute e della documentazione acquisita - che dette condotte si erano estrinsecate sostanzialmente:

    a) nel catturare l'interesse delle persone verso l'organizzazione attraverso un test della personalità (privo di qualsiasi validità scientifica) e prospettando, quindi, un miglioramento della "qualità" della vita e della "salute mentale" attraverso l'adesione a dianetica;

    b) nella assillante pressione esercitata sulle predette persone - attraverso continui contatti personali e telefonici a tutte le ore del giorno e della notte - affinché sottoscrivessero l'acquisto di corsi di vario tipo e livello, con i quali - a loro dire - avrebbero potuto conseguire i predetti miglioramenti;

    c) nel sottoporre talune delle predette persone, benché manifestamente affette da malattia mentale, a lunghe ed estenuanti sedute di auditing ad opera di personale assolutamente non qualificato;

    d) nel vincere eventuali resistenze oltre che con simili sedute, in cui veniva utilizzato l'E-meter, con la falsa prospettazione di un suo effettivo valore scientifico (che consentiva di vendere l'apparecchio a prezzi decisamente superiori al suo reale costo) anche con saune protrattesi per ore, malgrado il manifesto stato di prostrazione dei pazienti;

    e) nel prendere - durante le sedute di cui sopra - appunti sulle dichiarazioni dei pazienti su propri fatti strettamente riservati e conservarli, unitamente alle confessioni scritte fatte loro redigere, in cartelle (folders), che potevano essere trasmesse, per un loro eventuale utilizzo, ad un ufficio investigativo dell'organizzazione (Guardian Office);

    f) nell'imporre a chi intendeva proseguire i corsi la sottoscrizione di dichiarazioni di "successo", da appendere in bacheca per suggestionare favorevolmente eventuali altri adepti;

    g) nell'adottare estenuanti tecniche defatigatorie nei confronti di chi chiedeva rimborsi delle somme versate, sia dichiarandosi sempre incompetenti per un cambiamento del responsabile, sia imponendo la compilazione di lunghi e complessi formulari, sia sottoponendo il richiedente a estenuanti interrogatori sui motivi che avevano determinato la sua richiesta, sia infine prospettando mali gravi per chi abbandonava l'organizzazione.

Poiché le predette condotte dovevano considerarsi frutto delle direttive impartite nell'ambito dell'organizzazione ai vari adepti ed integravano estremi di reato, il giudice istruttore ravvisava di conseguenza - nella struttura dell'organizzazione volta alla perpetrazione dei predetti reati - la sussistenza del reato di associazione per delinquere (capo 42 di imputazione) che ascriveva a tutti i membri della chiesa di Scientology (già H.D.I.), che avevano rivestito all'epoca ruoli di responsabilità a vario livello, nonché a tutti quegli operatori che in concreto avevano posto in essere i comportamenti illeciti sopra descritti.

In conseguenza di questa impostazione il giudice istruttore non solo imputava alle varie persone che si erano succedute nella rappresentanza legale dell'associazione la mancata denuncia, ai fini Irpeg, dei redditi negli anni 83/86 (così come accertato dalla guardia di finanza), attesa la natura commerciale dell'attività dell'associazione stessa (capo 40 di imputazione, nonché al solo Damiani l'annotazione di una fattura relativa ad una operazione commerciale inesistente, capo. 41), ma altresì contestava a tutti gli imputati il reato di esercizio arbitrario della professione medica (capo. 43), sul rilievo che essi sostanzialmente avevano assicurato benefici anche fisici con il loro trattamento e avevano di fatto esercitato un'attività pseudo-terapeutica.

Quanto ai singoli episodi, denunciati dalle persone offese, il giudice istruttore operava una discriminazione nel senso di escludere qualsiasi rilevanza penale a tutti quei fatti denunciati, nei quali una persona adulta e priva di deficienze psichiche aveva liberamente acquistato - anche a caro prezzo - servizi dal l'organizzazione, pur non avendone successivamente goduto, ovvero non rimanendone soddisfatta.

Ravvisava, invece, estremi di reato in tutti quei casi in cui un soggetto aveva compiuto una disposizione patrimoniale a favore di Dianetics vuoi perché aveva subito pressioni e intimidazioni di varia natura, vuoi perché non era stato in grado di autodeterminarsi per la sua giovane età ovvero perché incapace di intendere o di volere, vuoi, infine, perché gli era stata fatta una falsa rappresentazione della realtà.

Sulla base di questa prospettazione, raggruppava i vari episodi secondo le diverse contestazioni.

(Omissis)


Parte seconda

L'appello del pubblico ministero: - I) L'associazione per delinquere. 1) Scientology. a) Premesse.

Sin qui l'appello degli imputati. Dalle osservazioni appena esposte nel respingere le argomentazioni della difesa non si può, pertanto, che condividere il giudizio del tribunale in tutti quei casi in cui ha ravvisato la responsabilità degli imputati, pervenendo ad una loro condanna o, quanto meno, applicando nei loro confronti il provvedimento di amnistia.

Di più; in ben due casi (V. e C.) la corte - nell'esaminare l'appello degli imputati - ha ritenuto non solo che si ravvisasse un reato (contrariamente alle tesi difensive), ma addirittura che questo fosse più grave di quello configurato dal tribunale, con conseguente condanna dei responsabili, per i quali, invece, in primo grado, era stata adottata la declaratoria di estinzione del reato. In altri due casi, poi (M. e F.) la corte ha ravvisato o una maggiore estensione del reato, ritenuto dal tribunale, ovvero un'ulteriore fattispecie criminosa rispetto a quella configurata dai primi giudici, tutte ipotesi queste in cui è stato perciò già accolto l'appello della pubblica accusa.

In un ultimo caso, infine (B. ascritto al capo 26), il tribunale ha ravvisato il reato di truffa, per il quale ha applicato l'amnistia nei confronti del Pa., il quale, però, non ha formulato contestazioni al riguardo nei motivi di appello, ragione per la quale il predetto caso non ha formato oggetto di esame nella prima parte della motivazione.

Vi è, inoltre, da mettere in rilievo che nel trattare i precedenti episodi si è ritenuto sussistente il reato di circonvenzione di incapace ogni qualvolta si era in presenza di questi elementi:

    a) stato di deficienza psichica accertato attraverso la perizia o altra documentazione medica;

    b) riconoscibilità di detto stato sulla base del tipo di malattia e dei comportamenti tenuti dalle parti lese, come descritti da loro stesse o da medici o da testimoni;

    c) opera di convincimento volta ad ottenere esborsi di denaro a favore di Scientology da parte di appartenenti all'organizzazione.

Si è poi configurato il reato di truffa in tutti quei casi in cui da parte di adepti dell'organizzazione era stata prospettata con sicurezza una guarigione, invece ben difficilmente prevedibile, ovvero era stato assicurato nell'ipotesi di insuccesso un completo rimborso, risultato poi assai arduo da conseguire.

Ritenendo che simili comportamenti integrassero gli estremi del raggiro e osservando che non vi poteva essere una "buona fede" da parte di chi faceva promesse e assicurazioni, che apparivano già di per sé non mantenibili, la corte ha conseguentemente ravvisato il predetto reato quando gli aderenti di Scientology sono riusciti in questo modo a conseguire somme di denaro dalle parti lese.

Si è, infine, ritenuto sussistente il reato di estorsione quando gli operatori avevano portato a compimento un'opera di vera e propria sopraffazione nei confronti della parte lesa, creando un clima intimidatorio nei suoi confronti, al fine di vincere le sue resistenze ed ottenere - anche contro la sua volontà - versamenti di denaro a favore dell'organizzazione.

Ebbene, se si hanno in mente tutti questi principi, si deve necessariamente ravvisare la sussistenza di reati, quanto meno, in tutti quegli altri numerosi casi, in cui il tribunale, pur non pervenendo all'affermazione di responsabilità degli imputati, ha tuttavia configurato ipotesi criminose di cui non ha però individuato i responsabili.

Si tratta degli episodi ai capi di imputazione, n. 3 (estorsione ai danni di B.B.M.), nn. 5, 8, l0, 13, 16, 27 (Circonvenzione di incapace nei confronti rispettivamente di S.M., di G.F., di M.G., di M.B., di F.U.P., di F.S.), n. 14, (truffa ai danni di B.Z., modificata l'originaria imputazione di circonvenzione di incapace), n. 24 (violenza privata verso A.G.) n. 26 (truffa ai danni di M.B., così modificata l'originaria imputazione di circonvenzione di incapace, reato per il quale il Pa. ha ottenuto l'amnistia), nn. 27 e 28 (maltrattamenti rispettivamente nei confronti di M.P., fatto per il quale è stato condannato il Po., che però non ha proposto appello, non.ché di giovani mandati a lavorare a Copenhagen per l'organizzazione) nn. 30, 33, 36 e 38 (truffa ai danni di U.d'A., di A.B., di G. Di M., e infine della famiglia C.).

Di conseguenza, già prima di esaminare l'appello del p.m. e di valutare le sue argomentazioni riguardo agli altri fatti e alla responsabilità degli imputati per questi e per i residui episodi, si può arrivare a questa iniziale conclusione, a cui era dunque pervenuto anche il tribunale.

In ben 25 casi dei 27 capi di imputazioni, in cui sono stati contestati singoli episodi criminosi (mancano, infatti, i capi 5 e 17), sono stati commessi reati da parte di aderenti all'organizzazione nei confronti di coloro che si avvicinavano all'istituto di Dianetica, divenuto poi chiesa di Scientology, dato questo già di per sé decisamente significativo, posto che per nessun'altra organizzazione, con fini dichiaratamente non solo leciti ma addirittura filantropici, risulta essersi verificata un'ipotesi del genere nell'arco di pochi anni (i fatti in questione risalgono al periodo 81-86, ma si raggruppano specialmente nell'ultima parte, in cui le indagini hanno avuto un particolare impulso). [Enfasi aggiunta]

Non si comprende, pertanto, come il tribunale abbia potuto - senza alcun ulteriore approfondimento - ritenere, che, gli episodi criminosi di cui sopra dovessero considerarsi come fatti isolati, senza alcun collegamento l'uno con l'altro e specialmente come azioni devianti da parte di singoli operatori, che di propria esclusiva iniziativa avevano agito in modo illecito nei confronti di chi si accostava all'organizzazione.

Non appare, infatti, sufficiente per arrivare a questa conclusione, limitarsi, come ha fatto il tribunale, alla lettura dello statuto dell'associazione (in cui si evidenziavano scopi meramente leciti), e delle affermazioni degli imputati, che hanno negato qualsiasi esistenza di accordi criminosi: entrambi questi dati, che provengono dalla stessa parte interessata ad eliminare qualsiasi propria responsabilità, non appaiono, infatti, adeguatamente oggettivi per costruire alcuna prova a favore dell'organizzazione ed impedire ulteriori indagini, come hanno ritenuto i primi giudici.

Occorre, invece, a giudizio della corte, prendere in esame gli episodi di cui sopra nonché gli altri elementi - indicati da testimoni - concernenti la loro esperienza con Scientology ed altresì la documentazione acquisita presso le sedi, per stabilire se via sia o meno un filo che leghi tutte le condotte di cui sopra, rendendole quindi manifestazione di direttive e accordi precedentemente presi.

B) Scientology come religione

Prima, però, di addentrarsi in questo esame, si deve trattare quella che è stata l'obiezione fondamentale della difesa sin dall'inizio di questo procedimento, che si volesse cioè processare una religione, soltanto perché diversa da quelle ufficialmente riconosciute, e che si intendesse così limitare il diritto di associarsi per professare una determinata fede, diritto che è addirittura previsto e tutelato dalla nostra Carta costituzionale.

I difensori, perciò, anche in grado di appello hanno speso molte parole per dimostrare che tutta l'attività svolta dell'istituto di Dianetica prima e della chiesa di Scientology poi rientrasse nello svolgimento di riti religiosi, in relazione ai quali i giudici non potevano esercitare controlli ovvero esprimere giudizi sulla loro conformità o meno ai principi del nostro ordinamento, costituendo una simile investigazione una indebita interferenza nella professione di una religione.

Hanno poi addotto a conferma di questa loro asserzione la sentenza della Corte di appello di Trento, che ha appunto sostenuto che Scientology ha tutte le caratteristiche per essere considerata una religione, e non quindi un'associazione a delinquere, e la sentenza di proscioglimento del giudice istruttore di Roma, che ha - a sua volta - ritenuto che non è possibile sovrapporre alla libera espressione delle idee nostri concetti, mutuati da una cultura e da una educazione religiosa profondamente diverse.

Ebbene questa corte, che ben conosce la piena tutela e garanzia che il nostro ordinamento concede alle manifestazioni del pensiero in tutte le sue forme e perciò all'associazione di persone che vogliano esprimere qualsiasi ideologia, non intende in alcun modo processare la chiesa di Scientology per le sue idee ovvero per aver svolto una determinata attività (come le sedute di auditing o i corsi di purification ovvero gli altri corsi sin qui menzionati), né addentrarsi nei più reconditi significati che queste pratiche possano avere avuto, ma ritiene che sia, invece, suo preciso compito accertare se sia conforme al nostro ordinamento il metodo adottato nello svolgimento delle predette attività.

In altre parole, si deve verificare se siano stati usati mezzi che possano aver leso il diverso, ma altrettanto tutelato, diritto dell'individuo e non essere oggetto di sopraffazioni indebite e il non vedersi depredato di ogni suo avere con una metodologia ritenuta illecita dall'ordinamento, in quanto la tutela di ognuno e quindi anche dell'associazione Scientology trova un limite invalicabile nella tutela di un contrapposto a parimenti valido interesse.

Se è vero dunque che il nostro ordinamento laico e di cultura occidentale consente perfettamente ad una associazione, denominata Scientology, di professare una religione e contemporaneamente di acquisire nuovi adepti, facendo loro fare, a pagamento, corsi e sedute per poter essere partecipi di quel credo, è però altrettanto vero che il nostro ordinamento, con quelle caratteristiche di cui si è detto, non autorizza quella medesima associazione a carpire la buona fede di soggetti incapaci, di esercitare violenza o minaccia nei confronti di chiunque e, infine, di trarre in inganno indiscriminatamente persone, al fine di ottenere da costoro rilevanti esborsi di denaro, che altrimenti non avrebbe conseguito.

E se si accerta che questi reati sono stati commessi in funzione di un programma prestabilito e di direttive provenienti dai vertici dell'associazione, si dovrà allora necessariamente ravvisare gli estremi dell'associazione per delinquere, sia Scientology una religione o meno (circostanza questa a quel punto del tutto irrilevante).

È bene, però, mettere comunque in evidenza che le persone che si avvicinavano a Scientology non ricavavano affatto l'impressione di accostarsi ad una religione (tema che sarà più diffusamente trattato in occasione dell'esame del reato di cui all'art. 348 c.p.): lo hanno espressamente dichiarato i testi B., M., M., V.: in particolare quest'ultima, notata la denominazione di "chiesa", aveva chiesto spiegazioni, perché suo figlio era un fervente cattolico, ricevendo la seguente risposta: «questo qui è su per scusa, ma non c'entra niente la chiesa»; concetto del resto ribadito dalla stessa imputata Ce., secondo la quale nella sede principale di Flag, «vi era una manifestazione di tutto: si autodenominavano chiesa per non pagare le tasse».

Ma a prescindere della considerazione se Scientology fosse o meno vista come una "religione" da coloro che vi si iscrivevano, è la stessa storia a portarci l'esempio di organizzazioni, che presentavano tutte le connotazioni di una religione e nel contempo quelle di un'associazione a delinquere, secondo i canoni di cui all'art. 416 c.p.

Basti pensare agli adoratori della dea Khali, i quali sicuramente professavano una idea religiosa, che, però, prevedeva il sacrificio di vite umane (di persone spesso rapite e comunque sacrificate contro la loro volontà) proprio come mezzo per professare tale religione, sacrifici infatti che rientravano indiscutibilmente nel concetto di riti religiosi, in quanto diretti ad adorare e a richiedere la benevolenza di una divinità. Ebbene, gli inglesi, sicuri assertori di ogni libertà personale, garanti da sempre del diritto del singolo nei confronti del potere statuale, hanno represso senza pietà una simile religione, per le sue caratteristiche appunto di associazione criminale, tanto è vero che non hanno, invece, mosso un dito contro le numerose altre forme religiose incontrate sempre durante il loro dominio dell'India.

Ma, senza arrivare a questi estremi, rimanendo più vicini alla realtà attuale e tenendo presente la religione cattolica, praticata dalla stragrande maggioranza degli italiani, quindi sicuramente lecita, riconosciuta e tutelata dal nostro ordinamento, si potrebbe ipotizzare ad esempio una aggregazione formata da gruppi di religioni aderenti alla chiesa cattolica che, decidendo di compiere, come attività di volontariato, l'assistenza alle persone anziane ricoverate in istituti, si organizzi poi in modo di carpire a costoro, approfittando delle loro condizioni psico-fisiche, tutti i loro averi per destinarli magari anche alla stessa chiesa.

Ebbene costoro, anche se avessero agito con tale ultima finalità e pur essendo fedeli della Chiesa cattolica, non per questo potrebbero sostenere la liceità penale del loro operato. Questo anzi rientrerebbe addirittura nell'ipotesi di cui all'art. 416 c.p., qualora essi avessero agito sfruttando la loro organizzazione e in esecuzione di un preesistente accordo criminoso da lì promanante e volto alla commissione di un numero indeterminato di azioni delittuose.

Con queste premesse si vuole soltanto spiegare che, nell'esaminare la condotta degli aderenti di Scientology, per stabilire se essa sia o meno riconducibile ad un'associazione criminosa, non ha alcun rilievo né interesse stabilire l'esatta natura delle idee professate da quell'associazione, siano esse filosofiche, religiose, o meramente culturali, ovvero non abbiano alcuno di questi requisiti.

È, infatti, del tutto indifferente per il nostro ordinamento giuridico che le dottrine esposte sin dagli anni '50 da Ron Hubbard possano qualificarsi o meno come una religione (così come hanno ritenuto i giudici della Corte di appello di Trento, con la sentenza in data 27 marzo 1990, Foro it., Rep, 1992, voce Ordine pubblico (reati), n. 12, prodotta dalla difesa), dal momento che dette dottrine ricevono in ogni caso, come qualsiasi altra manifestazione del pensiero, tutela dal nostro ordinamento.

Si ribadisce, perciò, che l'unica questione sottoposta al vaglio della corte e che dovrà essere qui decisa riguarda i metodi attuati dai seguaci di Ron Hubbard in Italia per propagandarne le idee e far proseliti.

Non si tratta perciò di sovrapporre la nostra visione culturale a quella degli aderenti a Scientology e non accettare quest'ultima nei limiti in cui differisca dalla nostra, come ha ritenuto il giudice istruttore di Roma con la sua sentenza di proscioglimento in data 17 settembre 1985, ma soltanto di accertare se i metodi di cui sopra si siano concretati in azioni penalmente rilevanti, frutto di un preventivo accordo degli organizzatori e di direttive da essi impartite.

(Omissis)

I) Conclusioni

Occorre, a questo punto, tirare le fila di questo esame, che è stato necessariamente lungo, per consentire le citazioni delle dichiarazioni e dei documenti acquisiti, in modo da mettere in rilievo l'esistenza di numerosi elementi comuni che legano fra loro i casi sottoposti all'esame di questa corte, e più in generale che connotano la condotta degli aderenti all'organizzazione nei confronti di coloro, che potevano diventare possibili fruitori dei loro servizi (come è attestato dalle testimonianze di numerose altre persone, che hanno avuto a che fare con l'organizzazione).

Riprendendo, dunque, il discorso incominciato all'inizio di questo capitolo, si può innanzitutto ritenere che sussista un filo conduttore che collega fra loro le condotte dei vari appartenenti a Scientology, dal momento che si è visto che l'azione di costoro nei confronti del possibile utente dei loro servizi si è pressoché sempre svolta secondo delle linee generali costanti, adattandosi poi volta per volta - ma su schemi fissi - al tipo di problemi che gruppi di casi man mano presentavano.

Non è allora assolutamente possibile sostenere che le azioni criminose, che sono estrinsecazione delle condotte di cui sopra, che per di più risultano commesse in luoghi diversi (a Brescia si hanno, infatti, i casi dell'A., della Z., della Q., a Bergamo quello del M., a Prodenone quello della C., a Modena quello del M., a Torino quelli del M. e della U.P.) in tempi diversi (nell'ambito di 3/4 anni, anche se sono maggiormente raggruppate nell'ultimo periodo) e da parte di operatori diversi, possano essere il frutto di comportamenti devianti ad opera di singoli appartenenti all'organizzazione, al di fuori di qualsiasi direttiva da parte di quest'ultima.

Si è già messo in rilievo, nei paragrafi precedenti che determinate scelte non potevano che provenire dai vertici di Scientology in Italia, come ad esempio l'avere accettato persone con precedenti psichiatrici, mentre in epoca antecedente Segalla si era preoccupato in modo cortese, ma fermo di respingere tutte le richieste di iscrizione, provenienti da questa categoria di persone.

Si è anche evidenziato che la trafila per il rimborso era un problema generale, che coinvolgeva tutti gli uffici principali (come hanno attestato i documenti rinvenuti nel folder del P.) e che la necessità di maneggiare (usando un loro termine abituale) il richiedente allo scopo di "salvare il ciclo" era nota a tutti (come è dimostrato dalla famosa agenda rinvenuta in via Zurigo).

Di più, si è altresì citato quel rapporto redatto da Leda (omissis) del 25 febbraio 1986, inviato ai capi dell'organizzazione a Milano, in cui veniva descritto il comportamento del venditore No., che, per vincere le ultime titubanze del povero B. a privarsi di tutti i Bot, costituenti i suoi risparmi, aveva promesso, senza porre alcuna condizione, quel rimborso, che è poi invece risultato così difficile da ottenere.

Ebbene i vertici di Scientology a Milano a quel punto non potevano più certamente ignorare il metodo adottato dal No., pur essendo nel contempo a perfetta conoscenza, come si è visto, della pressoché totale impossibilità di conseguire poi il rimborso; se essi, dunque, non solo non hanno destituito il No. o quanto meno non l'hanno censurato, ma addirittura lo hanno lasciato tranquillamente al suo posto, dove ha continuato ad operare nello stesso modo (come hanno potuto ben constatare i C., i M., i B.), si deve allora concludere che essi approvavano questo comportamento nei confronti di coloro che si accostavano all'organizzazione, anzi consideravano il No. (che nel 1984 era già sicuramente addetto a quell'ufficio, come si rileva dai casi G., B., M.) un ottimo "venditore" (come si può desumere dagli atti del processo).

Analoga conclusione si può trarre da un altro rapporto della FBO MIL Leda (omissis) , in data 8 aprile 1986, questa volta però nei confronti del Pa., con evidente riferimento al caso C. (l'ultimo esaminato nel trattare l'appello degli imputati).

La (omissis), dopo aver fatto presente che il public (con questo termine viene indicato chi si accosta all'organizzazione e si iscrive ai corsi) aveva presentato una denuncia per truffa, bloccando l'assegno, proseguiva spiegando in un italiano non sempre perfetto che il «Pa., il giorno dopo che alle 3 di notte aveva chiuso il public, aveva raccontato al master dello staff il successo della chiusura presentandolo come un successo dell'applicazione dell'hard sell. Di base quello che era successo è che Pa. aveva rincorso la ragazza fuori dell'organizzazione, l'aveva obbligata in macchina con lui fino a casa della ragazza. L'aveva insultata pesantemente dandole della falsa, della bugiarda e altre parolacce. Tutto questo fra le lacrime del public, che alla fine era andata in casa e fatto l'assegno. Il giorno dopo la denuncia per truffa».

La (omissis) quindi stigmatizzava un simile comportamento (che per di più segnalava come si trattasse del secondo episodio di violenza ad opera del Pa. in poco tempo, essendosi anche picchiato con il public M.) e contestava che potesse essere considerato come applicazione della "vendita dura", metodo che - a suo giudizio - funzionava ogni volta che «viene spinto» assicurandosi però «che sia applicato correttamente, senza lotta libera».

Ebbene se si considera:

  1. che in questo rapporto viene ampiamente descritta la condotta del Pa. nel caso C., che - secondo questa corte - integra gli estremi della tentata estorsione;

  2. che si fa anche presente che non è un comportamento isolato, essendo stato preceduto da poco da un'altra manifestazione di violenza;

  3. che si contesta che i metodi in questione possano rientrare nella cosiddetta "vendita dura";

  4. che questo rapporto è stato inviato al Commanding Officer (ruolo rivestito all'epoca dalla Ba.) e al Hes (cioè il segretario esecutivo dall'ufficio del comunicatore di Hubbard, incarico del Tr.);

  5. che entrambi facevano parte (come si spiegherà meglio in seguito) del consiglio esecutivo, cioè dell'organo che prendeva le decisioni nell'ambito dell'organizzazione;
si deve conseguentemente concludere che i vertici di Scientology a Milano non solo erano a conoscenza del modo in cui il Pa. si comportava nei confronti del cliente, pur di fargli acquistare i corsi, ma, inoltre, l'approvavano tanto è vero che poco dopo gli avevano consentito di andare a Piombino (le spese di trasferta, specie se non irrilevanti, dovevano essere, infatti, autorizzate dagli uffici direttivi) per "convincere" il F. e i suoi familiari a spogliarsi di ogni loro risparmio.

Ma, se queste prove non fossero ancora sufficienti, si può anche mettere in evidenza:

    a) che vi è un altro rapporto di certa S.N. sempre sulla condotta giudicata riprovevole del Pa., che era arrivato al punto di spaventare talmente una ragazza che si doveva iscrivere ai corsi (le aveva detto di acquistare subito i «procedimenti», che costavano lire 18.000.000, «perché per lei non ci sarebbe stato niente più da fare come essere umano»), da farla addirittura fuggire, tanto è vero che la S. aveva dovuto poi maneggiarla molto per convincerla pian piano ad un altro corso.

    b) che la solita Leda riferiva in data 19 novembre 1986 che un membro dello staff, tale C., aveva agito su una certa C., convincendola a vendere i Bot, che erano però risultati intestati al marito, con la conseguenza che l'impiegato di banca aveva rifiutato di venderli; aveva perciò ripiegato su un'ipoteca sulla casa, ma il marito e la sorella, si erano precipitati nella sede di Scientology, minacciandoli di denunciarli come truffatori; alla fine, però, erano riusciti a maneggiarli, specie la sorella, che era stata convinta a ritornare nei giorni successivi per documentarsi meglio;

    c) che dalla documentazione concernente tale P.E. emergeva che costui non possedeva il denaro e aveva difficoltà a maneggiare i genitori, che era stato perciò elaborato un «programma di maneggiamento della madre»;

    d) che sono anche acquisite una relazione in cui si dà atto dell'insoddisfazione di M. per avere speso tanti soldi con la promessa che il figlio sarebbe uscito dalla droga, cosa che non si era poi verificata; altresì una lettera, del legale dei C. che, dando atto delle condizioni sempre peggiori di C.G., chiedeva la restituzione del denaro, nonché una ambigua dichiarazione della T., in cui sosteneva di essere soddisfatta che il figlio andasse in un centro Narconon, essendo consapevole che in questo modo sarebbe uscito dalla sua condizione di tossicodipendente, dichiarazione datata 3 luglio 1986, dopo cioè i vani tentativi di recupero del figlio compiuti, a carissimo prezzo, presso Scientology;

    e) che S.M.G. scriveva una lettera esponendo al Keeper of Tech di Milano (il custode della tecnologia) la sua delusione per il trattamento riservato a due giovani, che erano stati costretti ad acquistare materiali (che evidentemente non interessavano) in cambio dei soldi versati, tanto da far loro concludere che «agli Scientology interessano solo i soldi, fanno tutto per i soldi, non me l'aspettavo, sembrano dei banditi».

Già dalla semplice lettura di questi documenti, che si sono appena citati, si può trarre la conclusione che le condotte tenute dagli appartenenti di Scientology, che sono state ampiamente riportate nei paragrafi precedenti; erano non solo ben note a coloro che guidavano l'organizzazione in Italia, ma anche da essi condivise ed approvate, come del resto si può rilevare dalle ammissioni dell'imputata Ba., in precedenza ampiamente trattate.

Ma, se questo loro atteggiamento risulta inequivocabilmente dimostrato dalla sola documentazione sequestrata in via Zurigo, occorre tenere presente che gli elementi acquisiti agli atti sono ben di più (come si è messo sin qui in evidenza) e offrono un quadro complessivo che attesta inequivocabilmente lo svolgimento di un'attività illecita concertata in modo comune dai capi dell'istituto di Dianetica/chiesa di Scientology qui in Italia.

Infatti, se a quanto si è appena esposto si aggiunge che l'opera degli appartenenti a Scientology dava luogo via via ad una serie di reati, in modo uniforme a seconda delle resistenze che essi incontravano, in particolare, di circonvenzione di incapace (come si è spiegato al par. F), di estorsione (come si è messo in evidenza al par. G), di truffa (come è stato indicato al par. H); se si considera poi, che queste azioni delittuose venivano poste in essere per fare entrare sempre maggior denaro nelle casse dell'organizzazione, mediante la vendita di qualsiasi tipo di servizi a chiunque si avvicinasse alle sue sedi (come si è esposto al par. E); si può allora ritenere provato, da un lato, che simili azioni criminose erano state previste e programmate in via generale sin dall'inizio e, dall'altro lato, che un tale programma, rispondeva a direttive provenienti proprio dai vertici dell'organizzazione italiana.

Dovendosi, poi, mettere in rilievo che le condotte illecite sopra descritte trovavano il loro fondamento e la loro capacità di svilupparsi proprio nell'articolata struttura di Scientology, con l'organizzazione di sedi, la predisposizione dei mezzi necessari e la suddivisione di ruoli (si è già detto che possedeva un organigramma, trovato appeso ad esempio alle pareti della sede di via Zurigo - da far invidia ad un ministero), è lecito trarre la conclusione che ci si è trovati di fronte ad una vera e propria associazione per delinquere.

Ma questo, si ripete, è avvenuto a partire da un certo momento, dopo che si era venuta a creare una accentuazione dello scopo di lucro e una conseguente modificazione dei metodi adottati per una maggiore incisività nel raggiungimento di quello scopo. In altre parole non si vuole affermare che l'istituto di dianetica sia sorto in Italia come un'associazione per delinquere, dal momento che si è visto in precedenza che dopo la sua costituzione si era mosso sul terreno delle legalità, e nemmeno concordare con la tesi del procuratore generale, secondo cui nell'ambito di una attività lecita dell'organizzazione era sorta, in modo distinto e autonomo, una associazione illecita.

Si ribadisce infatti, che l'organizzazione in questione a partire da una certa epoca ha subito una trasformazione che ne ha cambiato i connotati trasformandola da lecita in illecita: non si può dire, perché le indagini del giudice istruttore non si sono indirizzate in tal senso, se questa trasformazione sia stata generale e abbia interessato tutte le sedi della chiesa di Scientology del mondo.

È, però, indubbio che questo sia avvenuto per la sede di Milano e quindi più genericamente in Italia, tenuto conto dell'influenza che la sede di Milano (la prima aperta in Italia) ha esercitato sulle altre sedi di Scientology, che le sono rimaste strettamente collegate e sostanzialmente dipendenti.

Ad esempio la sede di Pordenone, quando ha avuto problemi con il caso della C., aveva trasmesso il suo folder a Milano per eventuali correzioni del trattamento, ricevendo poi la visita del Ca. (addirittura il commanding officer della chiesa in Italia) per sistemare le cose per la sede di Modena, poi era andato addirittura il Tr. (uno dei capi di Milano) ad affittare i locali, senza contare che la Be., locale commanding officer, era rimasta in stretto contatto con Milano (v. il rimborso nel caso E.), dove poi si era trasferita; la Ba., inoltre, era stata mandata a Roma per riorganizzare, secondo le direttive di Ce., la sede che non andava troppo bene; da Torino, come da Bergamo si mandavano a Milano le persone che richiedevano corsi di grado e di costo più elevato (come è dimostrato dai casi rispettivamente della U.P. e del M.); per quanto riguarda, infine, la sede di Brescia si deve citare nuovamente la lettera di S.G., che pur dipendendo dall'organizzazione di quella città, aveva ritenuto opportuno far giungere le sue lamentele al custode della tecnologia di Milano, considerato evidentemente maggiormente in grado di affrontare la situazione.

In conclusione, dunque, si può affermare che l'organizzazione in questione, costituita in Italia con finalità commerciali lecite da raggiungere attraverso l'adozione di metodi conformi alla legge, ha successivamente previsto e programmato un numero indefinito di condotte illecite come mezzo necessario per assicurare la realizzazione del proprio scopo, cioè l'acquisizione di sempre maggior denaro nelle casse dell'organizzazione divenuto in quel momento predominante rispetto a tutte le altre considerazioni. Si assiste perciò in quel momento ad una trasformazione di una aggregazione di persone, che agivano sostanzialmente nel rispetto della legge, in una associazione per delinquere; trasformazione questa che non appare né impensabile né impossibile, ove si prenda ad esempio il caso di appartenenti ad una società, costituita per produrre determinati beni, che - a causa di un sopravvenuto stato di dissesto dell'azienda - decidano di organizzarsi in modo da commettere in modo sistematico reati di truffa e di bancarotta, prima di dissolversi.

(Omissis)

M) Il dolo

Una ulteriore contestazione mossa dalla difesa riguarda l'elemento psicologico del reato.

I difensori, infatti, formulando il rilievo che - anche se si fosse potuto parlare di programma criminoso - i cosiddetti reati fine sarebbero stati comunque previsti in modo del tutto indeterminato e soltanto nell'eventualità che fossero state opposte resistenze da parte dei soggetti passivi, hanno conseguentemente sostenuto che al più si potrebbe ravvisare nella specie un ipotesi di dolo eventuale, come del resto avrebbe riconosciuto - a loro dire - lo stesso pubblico ministero nel giudizio di primo grado, tipo di dolo non evidentemente compatibile con la fattispecie criminosa di cui all'art. 416 c.p..

Non bisogna, però, incorrere in equivoci sul concetto di dolo eventuale, ipotesi questa «ravvisabile quando l'agente vuole un determinato evento, ma ne prevede, come possibile, pure un altro, del cui verificarsi accetta il rischio, comportandosi anche a costo di determinarlo» (v. Cass. 29 ottobre 1990, Pisano, id., Rep. 1991, voce Reato in genere, n. 53).

Qui la situazione è del tutto diversa: infatti anche se si ritenesse che il programma degli aderenti all'associazione aveva ad oggetto determinate azioni criminose, da porre, però, in essere soltanto nel caso in cui se ne presentasse la necessità (ma si dirà fra poco che invece il programma in questione prevedeva e prescriveva i comportamenti illeciti, senza alcuna condizione), in un caso del genere si verterebbe comunque nel campo del dolo diretto e non eventuale.

Infatti, la decisione di commettere un reato - nella sua interezza di condotta ed evento - subordinata al venire in essere di una condizione è atteggiamento della volontà assolutamente diverso da quello che consiste nell'accettazione del rischio del verificarsi di un evento, quale conseguenza di un'azione diretta ad altro fine.

Né si può dimenticare che, per giurisprudenza costante (v., ad esempio, Cass. 11 maggio 1987, Alieri, id., Rep. 1988, voce Omicidio e infanticidio, n. 18), il dolo diretto è pienamente compatibile con il fatto che la risoluzione criminosa sia subordinata al verificarsi di una condizione.

E a questo proposito si può citare come esempio il caso di chi decida di uccidere una persona, predisponendo con un congruo anticipo tutti i mezzi necessari per la realizzazione del proprio disegno delittuoso, soltanto però nell'ipotesi in cui la vittima assuma un determinato atteggiamento ovvero si pongano in essere alcune ben precise circostanze: ebbene, anche in questo caso, in cui la volontà del soggetto di conseguire un certo risultato è sicuramente subordinata al verificarsi di determinate condizioni, è stata ravvisata l'aggravante della premeditazione, qualora l'agente abbia poi attuato il proposito criminoso, aggravante che - per giurisprudenza consolidata - è incompatibile con il dolo eventuale (v., da ultimo, Cass. 23 gennaio 1990, Belpiede, id., Rep. 1991, voce cit., n. 15).

Esclusa, dunque, qualsiasi possibilità di far rientrare nell'ipotesi del dolo eventuale la fattispecie appena esposta (in cui appunto la volontà di commettere un determinato reato è subordinata al verificarsi di una particolare condizione, ma, qualora questa venga in essere l'evento, è voluto, non essendo quindi stato solo accettato il rischio del suo verificarsi), si osserva comunque che è del tutto normale che in una associazione per delinquere l'attuazione dei reati fine sia subordinata, nei proponimenti degli associati, al verificarsi volta per volta delle condizioni opportune e favorevoli (come si può rilevare ad esempio da una recente sentenza, v. Cass. 5 marzo 1990, Bettoni, ibid. voce Reato continuato, n. 16).

Nel caso in esame, poi, si può ritenere - come si è già anticipato - che i cosiddetti reati fine erano stati programmati e previsti, si direbbe in modo addirittura certo (quindi nemmeno subordinati al venire in essere di specifiche necessità), nel momento in cui era stato deciso: a) di accogliere, senza alcuna discriminazione, anche le persone in stato di deficienza psichica (facile preda di circonvenzioni); b) di attuare i principi della cosiddetta «vendita pesante» e di vincere quindi ad ogni costo qualsiasi resistenza (ponendo in essere indubbie condotte estorsive); c) di propagandare la formula «soddisfatti o rimborsati», ben sapendo che la quasi certa impossibilità di ottenere in seguito il rimborso avrebbe reso quella formula sicuramente truffaldina.

Di conseguenza, ravvisati nella specie sia l'elemento materiale del reato di associazione per delinquere sia l'elemento soggettivo (salvo, poi, verificare volta per volta per ogni imputato la consapevolezza da parte sua di dare un contributo determinante ad una associazione di quel tipo), si deve conseguentemente ritenere provato che sull'originaria organizzazione costituita a Milano da Segalla, Ghio e Carturo si sia successivamente innestata una organizzazione, avente i veri e propri connotati dell'associazione per delinquere.

(Omissis)


Note:

Per i capi di imputazione citati dalla presente sentenza, si veda qui e qui.


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