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Memoirs of a Scientology Warrior

Estratti del libro di Mark "Marty" Rathbun, per anni secondo in comando della Chiesa di Scientology fino al suo abbandono nel 2004.

© Traduzione di Simonetta Po, aprile 2015

 


Capitolo 9 - Il principio di Peter in Scientology

(Da pag. 107 a pag. 110)
Il principio di Peter afferma che «In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza», vale a dire che i dipendenti tendono a essere promossi fino a che raggiungono una posizione in cui non possono più lavorare con competenza.
[...]

A metà estate 1978 io e Marc concludemmo la nostra missione. Dopo una grande festa di completamento, Marc partì per la sotto-organizzazione [della Sea Org] che lo aveva reclutato, e io andai alla Publication Organization (chiamata "Pubs") di [Billy] Khan. La sede di Pubs distava 5 miglia dal Cedars Complex, più vicino al centro di LA.

Pubs era un po' troppo irregimentata per i miei gusti. Molti dei suoi cinquanta dipendenti indossavano pantaloni neri e camicia bianca, e i dirigenti portavano anche spalline simili a quelle della Marina Militare. Mi misero a fare lo spedizioniere. Dovevo svolgere lavori umili in tutte le divisioni sovraccariche di lavoro che avevano bisogno di una mano. Spedivo libri, imbustavo, consegnavo volumi alle organizzazioni Scientology intorno a LA, spazzavo, pulivo – tutto ciò che ogni giorno Billy Kahn mi diceva di fare. E poi studiavo cinque ore al giorno nella sala di studio del personale, dove incontrai John Colletto, il capo dell'addestramento e dell'auditing dello staff.

Il Cedars Complex, ex ospedale Cedars of Lebanon di
Los Angeles, oggi sede di molte attività Scientology

Colletto era un Auditor di Classe VIII – un livello molto elevato di addestramento e, presumibilmente, di abilità. Raggiungere quel livello dava a Colletto il diritto di utilizzare il titolo di "Decano della Tecnologia". Il fatto che il personale di Pubs fosse affidato a uno scientologist così addestrato era una parte importante dell'esca di reclutamento di Billy Kahn. A dispetto della fanfara e del suo titolo elevato, John risultò essere un tizio tedioso, serio, annoiato, sovrappeso e occhialuto di una trentina d'anni. Per uno che aveva raggiunto i livelli più alti di addestramento e spiritualità Scientology, mi colpì perché sembrava un tipo abbastanza disturbato.

Per questioni di studio, tutti i giorni dovevo trascorrere cinque ore da solo sotto la supervisione di Colletto. Non mi mostrò mai alcun calore – in realtà da lui mi arrivava spesso un senso di disprezzo.

Dovevo studiare delle direttive organizzative scritte in un lasso di tempo abbastanza lungo. Erano zeppe di gergo scientologico che rendeva tutto abbastanza complicato. Oltre alla difficoltà intrinseca, c'era il fatto che il gergo stesso era cambiato nel corso del tempo, per cui gli scritti di periodi diversi avevano una terminologia diversa. A volte la mia unica speranza di capire quanto stavo leggendo era chiedere spiegazioni a Colletto, ma sembrava che tutte le volte in cui avevo bisogno del suo aiuto, lui cogliesse l'occasione per farmi sentire stupido. Iniziai a chiudermi in me stesso e a cercare di cavarmela da solo.

Mark "Marty" Rathbun, giovane
ufficiale della Sea Organization

Un giorno mentre studiavo cominciai a sonnecchiare. «Svegliati», mi disse Colletto schioccando le dita.

«Devo aver oltrepassato una parola che non capisco», gli dissi facendo riferimento al principio della tecnologia di studio di Hubbard secondo cui se si va oltre una parola non compresa ci si sente annebbiati e insonnoliti.

Invece di aiutarmi a cercare la parola che non avevo capito (come devono fare i supervisori), Colletto tirò fuori il Dizionario Tecnico di Scientology, lo aprì e mi mostrò la definizione di "implant" – termine della tecnologia di auditing che significa: "un mezzo doloroso e coercitivo di sopraffare un essere con uno scopo artificiale o dei falsi concetti nel tentativo malvagio di controllarlo e sopprimerlo".

Pensai di aver compreso ciò che voleva dirmi Colletto. Nell'auditing di Scientology si ricordano momenti di dolore e incoscienza del passato e li si rivivono fino a che non sono stati scaricati dall'energia mentale che contengono, e dai loro effetti mentali e spirituali distruttivi. Rivivendo e scaricando un numero sufficiente di quegli episodi si raggiunge alla fine lo "stato di Clear".

Mark "Marty" Rathbun oggi.

«Sì, capisco. Immagino che questi implant vengano fuori durante l'auditing.»

«Certo che vengono fuori. Tutti li hanno. Tu quanti pensi di averne?»

«Non lo so. Non ho mai fatto auditing perciò penso che scoprirò di averne alcuni.»

Colletto si appoggiò sul tavolo, mi fissò con uno sguardo gelido e mi disse a pochi centimetri dalla faccia: «Facciamo alcuni milioni.» Poi si alzò, tornò alla sua scrivania, raccolse alcuni documenti e cominciò a leggere.

Scioccato, restai seduto al mio posto sentendomi più confuso che mai. Perché mi aveva detto quelle cose? Pensai tra me e me che quel tizio altamente addestrato si era comportato proprio come il Dott. Stern, lo psichiatra. Stesso intento, emanava la stessa lunghezza d'onda. E anche l'effetto era stato lo stesso – Colletto mi aveva lasciato così sminuito, ammutolito e confuso come quando avevo parlato con il dottore.

Durante una pausa chiesi al superiore di Colletto se potevo parlargli da solo. Si chiamava Mike Sutter. Aveva la mia età [21 anni] ma era addestrato nella tecnologia. Gli dissi che studiare con Colletto mi metteva molto a disagio, che era l'esatto opposto di ciò che pensavo fosse Scientology. Era la totale antitesi dei supervisori del corso molto energici e cordiali che avevo conosciuto a Portland. Avevo la sensazione che Colletto stesse cercando di farmi sentire sempre più piccolo e confuso. Sutter sospirò e mi disse di essere al corrente che Colletto aveva qualche problema, ma io dovevo concentrarmi sui miei materiali e non farmi turbare dalla sua personalità.

Quello fu solo il primo di molti scontri con la burocrazia Sea Org. Sutter era propenso a scansare i problemi e cercava di convincermi a sopportare senza lamentarmi, qualità che in seguito scoprii essere comune tra i dirigenti della Sea Org. Infatti Mike Sutter era un buon esempio di ciò che cominciai a chiamare burocrazia "Principio di Peter" di Scientology.

Invece che salire fino al livello di incompetenza (come descritto nel libro The Peter Principle), nelle organizzazioni Scientology i dirigenti tendevano a salire fino al livello in cui erano rispettosi e servili a rango, livello di addestramento e posizione organizzativa altrui. Un dirigente era giudicato competente in base al livello in cui poteva tenersi a galla nella politica di quei tre fattori, a prescindere dai fatti e dalla giustizia delle questioni in cui si imbatteva. Chi era particolarmente attento a non ficcare il naso nei problemi, riusciva a scaricare le colpe su un capro espiatorio e si mostrava totalmente leale ai propri superiori era la "crema" che tendeva a salire al vertice della dirigenza Scientology.

Tornato nella sala di studio con Colletto mi sentii prigioniero – intrappolato in un posto in cui non volevo stare, con una persona che non desideravo avere intorno. Cominciai a sognare a occhi aperti di tornare sulla strada [negli anni precedenti Rathbun aveva vagabondato sulla costa occidentale degli USA - NdT]. Soppesai i pro e contro di tornare a inseguire i miei sogni di scrivere e viaggiare.

Un paio di settimane dopo, sul punto di scappare definitivamente dalla Sea Org, un nuovo supervisore del corso mi informò che Colletto era stato mandato sul Rehabilitation Project Force (RPF). Si diceva che (senza collegamenti con le mie lamentele) un qualche auditor, mentre audiva Colletto, si fosse imbattuto in una lettura Rock Slam dell'e-meter. Come descritto in precedenza, quel tipo di lettura indicava la presenza di uno scopo nascosto molto motivante e particolarmente malvagio. Non comprendevo appieno quelle tecnicità, ma in quel particolare frangente mi sentii per certi versi discolpato, vendicato. Approvai anche la burocrazia, convinto che se era in grado di isolare la persona antisociale – e, ancor meglio, curarla – allora quel sistema poteva avere validità, indipendentemente da quanto pazzoide potesse sembrare.

Sollevato, pensai che le cose potessero ora regolarizzarsi. Forse sarei riuscito a completare in pace gli studi di base da staff e continuare a trovare un qualche equilibrio nella mia vita Sea Org.

Al contrario, il mio mondo venne di nuovo improvvisamente e violentemente ribaltato.


°°°°°

Capitolo 10 – Una questione di vita o di morte

(Da pag. 111 a pag. 118)

Una sera di fine agosto Billy Kahn mi avvicinò poco prima dell'ora di chiusura. «Mark, mi chiedevo se puoi aiutarmi. È una cosa personale. Sai che Diane Colletto è mia cugina?»

«No», risposi. La conoscevo solo come responsabile della commercializzazione dei testi di Scientology e Dianetics, una donna minuta, tranquilla, matura, con una testa di capelli ricci e scuri. Il suo lavoro consisteva nel fare in modo che si vendessero grandi quantità di libri, sia alle org e alle missioni Scientology, sia nelle librerie commerciali. Avevo sempre trovato strano che una donna così apparentemente riservata potesse comandare un'attività che ci si sarebbe aspettati fosse diretta da uno smargiasso.

«Di recente suo marito John è improvvisamente fuggito dal RPF. Le ha fatto una telefonata che lei ritiene minacciosa», mi disse Billy alzando gli occhi al cielo.

«L'ha minacciata?», gli chiesi.

Billy sorrise: «Lei pensa che lo abbia fatto. Io ne dubito ma senti, Diane è una ragazza delicata ed è un po' scossa dal fatto che John è scappato e tutto il resto. Comunque poco importa se se lo è immaginata o no. Lei è l'ultima ad andarsene e ho pensato che si sentirebbe più tranquilla se qualcuno salisse in auto con lei. Ti spiacerebbe trattenerti ancora un po' e accompagnarla?»

«Certo che no. Per te questo e altro.»

«Davvero, non è niente», aggiunse. «È solo che... beh, è mia cugina e voglio farlo così che non ci fissi sopra l'attenzione, ok?»

«Certo», risposi. «Secondo te il tizio che cosa potrebbe combinare?»

«Niente, assolutamente niente», mi disse Billy. «John è sempre stato un pallone gonfiato. Ma per la miseria, è un auditor di Classe VIII. Davvero, sali solo in auto con lei giusto per farla stare tranquilla.»

«Nessun problema, Billy. Intanto che aspetto continuo a imbustare», lo rassicurai.

«Bene, grazie», fece lui di rimando. Si alzò gettandosi il giubbotto sulla spalla, mi sorrise e uscì. Quasi tutti gli altri staff se ne erano andati alle 22,30. A volte Diane si tratteneva fin poco dopo le 23,00. Entrò silenziosamente nella stanza dove stavo imbustando e mi disse: «Ciao. Vogliamo andare?»

«Certo», le risposi.

Chiudemmo a chiave la porta dietro di noi, salimmo sulla sua utilitaria e ci dirigemmo a ovest su Rampart Boulevard.

Era una serata insolitamente fredda per la stagione e c'era pochissimo traffico, anche sui viali più grandi. Diane non aprì bocca mentre ci avvicinavamo al Complex. Stranamente non svoltò a destra su uno dei viali principali che ci avrebbero portati a meno di un isolato dal Complex. Preferì invece prendere alcune vie secondarie che terminano a ovest del complesso. Ci fermammo allo stop tra Catalina St. e Fountain Avenue, una strada a due corsie che faceva da confine posteriore del Complex. Mancava solo un isolato all'ingresso del personale. In giro non c'era anima viva, né auto in movimento.

Poco prima che Diane si immettesse sulla Fountain, una macchina parcheggiata poco distante e nella stessa nostra direzione accese i fari. Quando girammo sulla Fountain l'auto dietro di noi accelerò e ci si incollò al paraurti per un paio di secondi, poi accese gli abbaglianti. Diane guardò nel retrovisore. Quasi contemporaneamente l'altra macchina, una vecchia Volvo color crema, accelerò e ci accostò dal lato del guidatore, mettendosi a cavallo della riga bianca della strada. Sentii un colpo violento quando la Volvo sterzò violentemente contro di noi, spostando l'auto sulla destra. Inspiegabilmente, Diane lasciò il volante e tolse il piede dall'acceleratore. La Volvo ci sorpassò e ci bloccò la strada. Ne uscì John Colletto che si avvicinò al lato dove era seduta Diane.

Aprii subito lo sportello dalla mia parte e, mezzo fuori, sentii l'altro finestrino andare a pezzi. Attraverso il parabrezza vidi un lampo vicino alla gamba sinistra di Diane e sentii un colpo forte e secco. Continuai a correre attorno all'auto verso Colletto.

Il mio primo pensiero fu che John volesse spaventare la moglie con una scacciacani, ma nell'avvicinarmi vidi che Diane stava sanguinando. Colletto le afferrò i capelli con la sinistra, le alzò la testa e con la destra le puntò la pistola alla testa.

«Sporca troia», le urlò mentre lo colpivo al lato del capo con l'avambraccio. Mi sbilanciai, ma riuscii ad afferrarlo per il colletto e a trascinarlo sulla strada.

«Scappa, Diane! Corri», le urlai mentre io e John ci rotolavamo a terra. Con la coda dell'occhio la vidi aprire la portiera e scendere. Continuammo a rotolarci. Mentre tentavo di bloccargli il collo e tirarlo giù, Colletto cercò disperatamente di puntare la pistola contro Diane. Riuscii a bloccargli il collo con l'avambraccio e cominciai a premere. Più stringevo, più lui mi colpiva alla testa e al collo con la canna della pistola. Non riuscivo più a vedere Diane e speravo fosse fuggita.

Improvvisamente la pistola colpì un punto molle della mia testa e mi scese una cappa nera sugli occhi. Sentii il corpo rammollirsi e accasciarsi sull'asfalto. Colpii col viso lo scolo della strada, ma riuscii a vedere che Colletto era atterrato di schiena in mezzo alla strada. Si alzò e corse verso il marciapiede contro cui era finita l'auto di Diane. Sull'altro lato uno steccato di un metro circondava il cortile anteriore mezzo a prato, mezzo pieno di spazzatura, di un bungalow.

Nell'alzarmi vidi John avvicinarsi a Diane, sdraiata a faccia in giù sul marciapiede con una grande pozza di sangue sotto la gamba ferita. Corsi verso i due. John la prese per i capelli con la pistola nell'altra mano. Prima che potesse puntargliela alla testa, lo colpii. Finimmo contro lo steccato. Diane guardò su e per un attimo i nostri occhi si incontrarono. «Scappa, Diane!» le urlai di nuovo afferrando il braccio destro di John che stava cercando di prendere la mira.

[...]

Avevo solo una mano libera per cercare di scansare la pistola che mi puntava contro. Rotolò di nuovo e dovetti usare entrambe le mani per rialzarmi. Sentii la canna della pistola alla base del cranio.

CLICK! Tutto il mio corpo si accasciò e immediatamente mi ritrovai a osservare la scena da 3 metri sopra i nostri corpi. Ero certo di essere morto. Poi vidi John correre di nuovo verso lo steccato, la pistola aveva fatto cilecca.

Giusto il tempo di alzarmi e scavalcare lo steccato e vidi che le aveva puntato la pistola alla gola. [...] Le mise la canna in bocca. Corsi verso di lui, e mentre prendevo lo slancio, fece fuoco. Il corpo di Diane si accasciò. Il mio calcio mandò John lungo disteso in mezzo alla strada e l'arma gli sfuggì. Si alzò e corse via. Raccolsi la pistola, presi la mira e tirai il grilletto. CLICK! Era scarica.

Mi girai e corsi a est verso la Fountain, poi su Catalina verso l'entrata dello staff. Quando girai l'angolo, uno della sicurezza mi vide correre verso di lui con la pistola alzata sulla testa mentre gridavo «Aiuto!» con tutto il fiato che avevo in gola. Terrorizzato fuggì via. Nel girarmi per correre di nuovo da Diane, vidi Colletto scappare sulla sua Volvo. Scagliai la pistola contro il finestrino posteriore, ma senza colpirlo.

Fui sorpreso di non vedere nessuno in strada. Sembrava che avessimo lottato per un'ora. Quando arrivai da Diane, la ragazza giaceva sulla schiena e le uscivano bolle di sangue dalla bocca. Mi inginocchiai e me la tirai il grembo, sperando di riuscire a farla respirare. Mi tolsi la camicia, la arrotolai in una specie di cuscino e mi appoggiai la sua testa sullo stomaco. Continuava a gorgogliare e io ero completamente coperto del suo sangue. Dopo qualche istante dalla bocca non le uscirono più bolle, solo sangue. Sotto di noi si stava allargando una grande pozza scura.

Fu a quel punto che da dietro l'angolo sbucò sgommando un'auto della polizia. [...] Ne scesero due poliziotti che si inginocchiarono dietro gli sportelli aperti puntandomi addosso le pistole.

«Faccia a terra, cazzone!» mi urlò uno dei due.

«No», protestai, «La sto aiutando!»

«Faccia a terra ADESSO o ti stendiamo noi. ADESSO!»

Appoggiai gentilmente il corpo di Diane sul cemento e mi stesi a terra con il volto nel suo sangue.

Uno dei poliziotti corse verso di me, mi tirò le mani dietro la schiena e mi ammanettò. L'altro si avvicinò a Diane, le cercò il polso e guardando il suo collega disse: «È morta». Mentre mi trascinavano verso l'auto-pattuglia arrivarono altre due macchine della polizia. Spiegai l'accaduto al poliziotto che mi faceva la guardia. Con la testa gli indicai la pistola, diversi metri più in là sull'asfalto. Lui chiese a un altro agente di raccoglierla. Mi guardai intorno in cerca di testimoni, ma non c'era nessun civile in vista. Intanto erano arrivate altre due auto della polizia e un'ambulanza. Con tutti quei lampeggianti arancioni, rossi e blu, l'isolato aveva un aspetto surreale.

Avevo quasi convinto il primo agente della mia innocenza quando altri due si avvicinarono e cominciarono a interrogarmi da capo in modo antagonista, quasi fossi io il colpevole. E ne arrivarono altri due. Ero seduto senza difese in un'auto, le mani ammanettate dietro la schiena, a torso nudo e tutto coperto di sangue, senza un testimone in vista, quando mi balenò l'idea che potevo essere accusato di omicidio.

Stavano per chiudere la portiera e portarmi in centrale quando sentii una voce dall'accento messicano avvicinarsi alla macchina. «Hei, hei! Ho visto tutto», disse un sudamericano mingherlino sulla trentina. Rivolgendosi a me, aggiunse: «Ho visto tutto da lassù» e indicò la finestra di un appartamento al secondo piano dall'altra parte della strada. «Ho visto tutto! Amico, sei stato grandioso!»

I poliziotti si guardarono stupiti. Il sudamericano si tolse la canottiera e si avvicinò. Un agente lo fermò per la spalla. Mentre lo trascinavano via, l'uomo mi lanciò l'indumento. «Devi morire di freddo, amico. Prendila.» E, rivolgendosi ai poliziotti, «Avete preso l'uomo sbagliato. Lui è stato un grande.»

Il primo poliziotto, quello che mi aveva ammanettato, mi aiutò a scendere dalla macchina, mi tolse le manette e mi aiutò a infilare la canottiera. Non che mi coprisse molto, ma improvvisamente mi sentii pervadere dal calore. Sulla scena arrivò un sergente che parlò con diversi agenti, ma non sentii che cosa si dicevano. Poi due si avvicinarono, mi caricarono in macchina e mi portarono via.

Arrivati alla stazione di polizia di Rampart non avevo idea che mi avrebbero messo alla graticola. Mi portarono un bicchiere di caffè stantio, ultimo segno di civiltà fino all'alba. Stetti per un'ora in cella, poi mi accompagnarono nella stanza interrogatori per incontrare il detective assegnato al caso. Era nero di capelli, baffi folti e volto butterato. Aveva un atteggiamento terra-terra, della serie «Non farmi perder tempo con le tue barzellette. Le conosco già tutte.»

La mia storia non gli interessava minimamente, voleva solo sapere che cosa ci facevamo io e Diane Colletto per strada alle 23,30 di una serata infrasettimanale.

«Nulla! Fino a mezz'ora prima non la conoscevo nemmeno.»

«Ah, quindi l'hai caricata per una sveltina, giusto?» fece lui sarcastico.

Gli spiegai esattamente che cosa era successo prima di quel fatale viaggio in auto. Mi disse che non ci credeva nemmeno per sbaglio e, cosa più importante, non ci avrebbe creduto nemmeno una giuria. Aggiunse che sarei potuto marcire nel sistema penitenziario della California fino alla fine dei miei giorni, oppure potevo fare il bravo bambino, collaborare e forse prendermi solo 20 anni, essere fuori con la condizionale dopo 10 e vivere una vita relativamente normale.

Gli chiesi del testimone arrivato sulla scena. Si affacciò alla porta e domandò a un agente: «Qualcuno ha fatto dichiarazioni su questo caso, Phil?»

«No», rispose un Phil annoiato.

«Mi dispiace, amico. Non c'è nessun testimone.»

«Ma che cosa è successo al tizio che s'è fatto avanti per dire di aver visto tutto?» protestai.

Il detective fece un sorrisetto. «Chissà! Se esiste davvero, magari aveva i suoi panni sporchi ed è scappato sulle colline.» Uscì. Tornò nella stanza diverse volte, sempre sbattendomi in faccia qualche altra prova incriminante. «Quella pistola è piena delle tue impronte, lo sai vero?», disse a un certo punto.

«Certo che lo è», gli risposi. «E sono stato io a dire ai suoi agenti dov'era quella pistola. Non ho nulla da nascondere.»

Verso le 4 del mattino il detective mi informò che c'era una telefonata per me. «Puoi giocare la roulette, rispondere e sperare Dio. Oppure usare l'unica telefonata che ti spetta per chiamare un avvocato e uscire su cauzione.»

Scelsi di rispondere. «Sono Heber Jentzsch», [2] mi disse la voce all'altro capo.

Essere al telefono con un uomo di tale caratura mi mise soggezione. Disse di aprire bene le orecchie e mi fece un elenco dettagliato dei precedenti psichiatrici e penali di John Colletto. Agosto 1966, arrestato per spaccio illegale di anfetamine, incarcerato. Luglio 1967, internato nel manicomio criminale statale di Camarillo dopo aver preso a cazzotti la sua fidanzata. Durante la permanenza gli era stato fatto l'elettroshock. Heber proseguì per tre minuti con tutti i precedenti di John Colletto. E alla fine mi consigliò: «Devi dirgli queste cose.»

Quando ebbe finito, gli dissi con gratitudine: «Grazie».

«Di nulla», mi rispose. «Tieni alta la testa.»

Riferii quanto avevo appreso al detective, che disse di aspettarlo e uscì. Restai seduto nella stanza interrogatori per un'altra ora. Poi entrò un agente che mi consegnò portafogli e cintura e mi informò che potevo andare.

Uscii su Rampart Boulevard alle prime luci dell'alba. Respirai profondamente l'aria fresca del mattino. Accesi una Camel e mi incamminai. Le mie percezioni erano normali, ma mi sentivo in una specie di reverie [rivivere episodi del passato – NdT]. Mi chiesi perché l'ultima pallottola avesse fatto cilecca con me – ma non quando aveva trafitto la gola di Diane. Pensai all'uomo che si era fatto avanti in mia difesa, e che poi era misteriosamente scomparso. Forse era un immigrato clandestino e nel momento di rilasciare una dichiarazione la polizia lo aveva intimidito. [...]
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Dopo tutte queste riflessioni, il pensiero finale mi lasciò un senso di pace. Era il riconoscimento che nel momento in cui avevo veramente visto la morte in faccia, mi ero del tutto staccato dal corpo. Era stata una cesura tra mondo materiale e mondo spirituale tanto netta quanto lo erano state quelle che avevo sperimentato nel 1973 nella palestra Fallbrook, e nel 1977 alla Missione di Portland. Non avrei mai più messo in dubbio che la mia vera identità personale è del tutto separata e distinta dal mio corpo. Non avrei mai più avuto paura della morte.


°°°°°

Capitolo 12 – La camera dell'eco

(Da pag. 129 a pag. 139)

Panoramica della sede internazionale di Scientology
di Hemet, California, un tempo nota come SHQ,
Summer Headquarters. Clicca per ingrandire.

Molti dei 25 membri dello staff al lavoro per ristrutturare SHQ [1] erano novellini come me. Eravamo una squadra piuttosto variopinta e eterogenea. La maggioranza aveva poco più di vent'anni, capelli lunghi e/o la barba. Il nostro Ufficiale Comandante era il Capitano Bill Robertson, un uomo di mezz'età biondo e corpulento con un portamento possente come quello di Hubbard. In realtà, Robertson era stato il Vice Commodoro, uno che rispondeva solo e soltanto a Hubbard. Ma Robertson – come tutti gli altri ufficiali veterani della Sea Org – adesso aveva perso l'accesso diretto a Hubbard. La Commodore's Messenger Organization era stata organizzata e istruita per prendere il controllo della dirigenza internazionale di Scientology. Gli ufficiali veterani della Sea Org venivano sempre più spogliati del loro status di comando.

Il timore di Robertson fu evidente quando ricevetti il mio primo dispaccio scritto da Ron. Era una piccola nota in cui Hubbard mi chiedeva di prendere in considerazione l'idea di interfacciarmi con il responsabile acquisti della ristrutturazione del Complex di Los Angeles. Ron voleva che lavorassi con quel responsabile così da stipulare un contratto d'acquisto favorevole con la stessa ditta di vernici e colori che aveva rifornito la ristrutturazione di LA, poiché la qualità delle vernici era eccellente e il prezzo concordato, ancora migliore.

Panoramica della sede internazionale di Scientology
di Hemet, California, un tempo nota come SHQ,
Summer Headquarters. Clicca per ingrandire.

Risposi che non sarebbe stato un problema, visto che ero io il responsabile acquisti di LA che aveva comprato quella fornitura. Robertson aveva fretta di avere una mia risposta, così da farla arrivare a Ron. Due giorni dopo, Robertson entrò nel mio ufficio con la risposta di Hubbard. Era stranamente indirizzata a lui e non a me. Gli chiesi di vedere la lettera inviata a Ron. Robertson mi mostrò un dispaccio scritto da lui e inviato al posto mio. Aveva rubato tutti i dettagli tecnici da me forniti e dato l'idea che la competenza fosse la sua. Il dispaccio era infiorettato di ripetuti riferimenti alla genialità dell'ordine originale di Ron. Trovai inquietante che questo uomo grande e grosso, una leggenda della Sea Org, tenesse una condotta così disonesta e ossequiosa solo per ingraziarsi Ron. Avrei imparato presto, però, che l'esempio di Robertson di "far l'eco" a Hubbard con lodi alla genialità delle sue idee era un requisito di tutte le comunicazioni a lui dirette.

Ero a SHQ da pochi giorni quando Miscavige piombò negli uffici amministrativi che una volta servivano al resort. Adesso erano occupati da Robertson, da un paio di altri veterani responsabili della nostra squadra e da me, il responsabile acquisti. Miscavige e un altro messaggero entrarono con passo pesante nell'ufficio di Robertson, proprio di fronte alla mia scrivania, sbatterono la porta dietro di sé e cominciarono a inveire contro Bill, scaricandogli addosso offese e oscenità. Dopo meno di un minuto, Miscavige aprì con forza la porta e lasciò l'ufficio e l'edificio, forse per fare i 40 minuti di strada che ci separavano da WHQ. [1]

Personale della base internazionale di Scientology
al lavoro. Clicca sull'immagine per visualizzare altre foto.

Mi rivolsi al secondo in comando della nostra squadra, il veterano Gary Wiese. «Chi cazzo pensa di essere?», gli chiesi. Wiese mi disse che era un Messaggero del Commodoro. Commentai che secondo me un comportamento così maleducato non faceva bene a Hubbard. Wiese mi rispose che dovevo tenere per me le mie critiche. Mi mostrò una direttiva Sea Org che Hubbard aveva emesso meno di due mesi prima. Intitolata Commodore's Messengers, includeva questa ingiunzione: «Un Messaggero del Commodoro che dà ordini o gestisce un progetto, o è altrimenti in servizio, è un emissario del Commodoro. Ciò che il personale o la persona che riceve gli ordini del Messaggero dice o fa al Messaggero è detto o fatto al Commodoro.» Wiese mi disse che avrei fatto meglio a tenere per me tutte le mie osservazioni sui Messaggeri, altrimenti sarei potuto finire nei guai fino al collo.

Feci tesoro del suo consiglio. Ma l'irrazionalità dell'ordine di Hubbard mi aveva colpito, e diventò sempre più ovvia con il passare del tempo. Molti dei messaggeri con cui ebbi a che fare nei due anni successivi dimostravano immaturità, arroganza, mancanza di educazione e di buon senso. In particolare quando si cominciò a formare il vertice dell'organizzazione dei Messaggeri, nota come CMO International. La CMO prendeva a bordo un sacco di giovani che non avevano mai incontrato Hubbard e che non erano stati addestrati da lui su come comportarsi o gestire le cose. Inoltre, quasi tutti i messaggeri avevano fatto pochissimo auditing, non erano addestrati sulla tecnologia di auditing e conoscevano a malapena i fondamenti della filosofia Scientology. L'aspetto positivo era che si trattava di gente pragmatica con un atteggiamento terra-terra che permetteva di svolgere in modo efficiente i loro compiti con risultati di standard elevato, e una chiara lealtà a una persona soltanto: L. Ron Hubbard.

[...]

Per un po' gestire le linee di comunicazione super-segrete di Hubbard fu avventuroso e divertente. Ma padroneggiai il lavoro in pochi mesi e i due anni successivi furono abbastanza tranquilli. Lavorare ai massimi livelli della Sea Organization e studiare continuamente i metodi amministrativi di Hubbard mi indottrinò completamente alla mentalità del membro veterano della Sea Org. Quell'etica e struttura mentale possono essere riassunte come segue.

Innanzitutto, uno dei principi più fondamentali della filosofia Scientology – quello appreso e applicato fin dall'inizio – fornisce un'ottica completamente nuova dell'universo. È il principio delle dinamiche di esistenza. Hubbard postulò che la vita poteva essere arbitrariamente suddivisa in otto diverse spinte o urgenze di sopravvivenza, che lui chiamò dinamiche (qui sotto riassunte dagli scritti di Hubbard):

1° dinamica, la spinta all'esistenza di se stessi. Qui abbiamo l'individualità espressa pienamente. Chiamata anche dinamica del sé.
2° dinamica, la spinta all'esistenza come attività sessuale. La seconda dinamica è divisa in due: a) l'atto sessuale in quanto tale e b) l'unità familiare, che comprendere allevare i figli. Chiamata anche dinamica del sesso.
3° dinamica, la spinta verso l'esistenza in gruppi di individui. Tutti i gruppi o le parti di un'intera classe possono essere visti come parte della terza dinamica. La scuola, la società, la città, la nazione fanno tutte parte della terza dinamica e ognuna è una terza dinamica. Chiamata anche dinamica del gruppo.
4° dinamica, la spinta verso l'esistenza come umanità. Laddove una razza può essere considerata una terza dinamica, tutte le razze insieme sono considerate una quarta dinamica. Chiamata anche dinamica dell'umanità.
5° dinamica, la spinta verso l'esistenza come regno animale. Comprende tutte le cose viventi, sia animali sia vegetali, tutto ciò che è motivato dalla vita. Chiamata anche dinamica animale.
6° dinamica, la spinta all'esistenza come universo fisico. L'universo fisico è definito come Materia, Energia, Spazio e Tempo, in Scientology abbreviato in MEST. Chiamata anche dinamica dell'universo.
7° dinamica, la spinta all'esistenza come spirito o di spirito. Tutto lo spirituale, con o senza identità, ricade sotto la settima dinamica. Chiamata anche dinamica spirituale.
8° dinamica, la spinta verso l'esistenza come infinito, identificato anche come Essere Supremo. Scientology professa di non interessarsi alla dinamica dell'Essere Supremo in quanto si considera una scienza. Chiamata anche dinamica dell'infinito o dinamica di Dio.

Il concetto delle dinamiche può essere usato con grande effetto per determinare il corso di azione da intraprendere in ogni situazione data – in altre parole, l'etica personale. Il sistema di etica Scientology può essere facilmente riassunto dalla seguente equazione. Le azioni giuste o buone sono quelle che risultano nel maggior bene sul maggior numero di dinamiche e il minor danno sul maggior numero di dinamiche. Le azioni sbagliate o cattive, il contrario. Nel corso degli anni sono riuscito ad aiutare altri a superare in modo più che soddisfacente molte difficoltà personali educandoli semplicemente su questa formula e incoraggiandoli ad applicarla.

Il metodo funziona bene quando ci si attiene al consiglio di Hubbard secondo cui nessuna dinamica ha importanza superiore a un'altra – tutte hanno la medesima importanza e valore. Ma qui c'è uno dei primi e più importanti paradossi che avrei incontrato in Scientology, che potrebbe essere il punto centrale della dicotomia esistente tra la filosofia/tecnologia Scientology e la cultura/organizzazione Scientology. Il primo e più distintivo punto dell'ethos di uno scientologist della Sea Org o dello staff di Scientology è l'adozione dell'idea che la terza dinamica – il gruppo – predomina su tutte le altre. Più specificamente, la terza dinamica della società Scientology, l'organizzazione Scientology e più nello specifico la Sea Organization, hanno la precedenza su tutte le altre dinamiche o persino su combinazioni di dinamiche.

Questa era una verità accettata e mantenuta, a prescindere dal fatto che gli scritti di Hubbard affermino che un atteggiamento da "il gruppo è tutto e l'individuo è niente" è forse il peggior anatema immaginabile. Benché non esista alcuno scritto Scientology specifico che dica che il gruppo vince su tutte le altre dinamiche della persona, il concetto è diventato talmente condiviso da essere palpabile. Succede una cosa di questo tipo: "siccome Scientology è la sola tecnologia che può liberare un individuo su tutte le dinamiche, essa – e le organizzazioni che la diffondono – sono più importanti delle dinamiche stesse". Tra gli scientologist questo concetto è talmente condiviso da portare un suo corollario di verità: tra gli scientologist, i fini dell'organizzazione giustificano sempre i mezzi per raggiungerli.

Questa è la lezione numero uno del membro della Sea Org. Tra i membri della Sea Org è motivo d'orgoglio ed è considerato il maggior fattore che li distingue dai non-membri. È una credenza così fermamente mantenuta che i suoi membri considerano il personale normale di Scientology, e gli scientologist del pubblico (fedeli laici), una classe inferiore dell'essere – solo per quella singola distinzione.

La seconda lezione del membro Sea Org è lo sviluppo di un atteggiamento "si può fare". Brontolare o perdere tempo in discussioni su come le cose non dovrebbero essere fatte vi porterà a pronta fucilazione (figurativamente parlando). Perciò si adotta e si applica il motto che Hubbard ha dato alla Sea Org: "falla andare bene". Quando si riceve l'ordine di eseguire un programma o l'istruzione di fare qualcosa, si impara a spegnere subito ogni pensiero negativo. Il che ha i suoi vantaggi in termini di esecuzione di progetti e ordini, ma nel tempo può avere conseguenze catastrofiche.

La lezione numero tre è che non si deve mai presentare un problema a un superiore. Ogni problema che si dovesse presentare viene risolto con il "falla andare bene". Se per agire è necessaria un'autorizzazione dall'alto, bisogna presentarsi al proprio superiore con una proposta scritta che comprenda: a) la specifica situazione da affrontare, chiaramente definita; b) tutti i dati rilevanti relativi alla questione e c) la soluzione che proponete per il problema. Si viene addestrati in modo molto approfondito a compilare queste petizioni, denominate "lavoro completo di staff" ["completed staff work"] o "CSW" , così che il superiore le comprenda al volo e le approvi o respinga senza ulteriori domande o discussioni.

Quarto: si impara a non accettare mai un problema dai subordinati. Bisogna accettare soltanto approfonditi e onesti "lavori completi di staff" (in forma adeguata, come descritto) con una soluzione accettabile proposta in partenza. E si impara a ignorare e interrompere preoccupazioni o considerazioni altrui che potrebbero interferire con i propri programmi – da una intenzione espressa fermamente fino all'uso della forza fisica, se necessario.

Quinto, e veramente parte integrante dei numeri tre e quattro appena citati, si impara a rispettare la catena di comando. Quanto più si è vicini a L. Ron Hubbard (che nella Sea Org viene chiamato Commodoro), tante meno domande ci si fanno, e tanto più ci si impegna per fare qualsiasi cosa richiesta.

Sesto, si apprende la lealtà al Commodoro e alla sua organizzazione, la Sea Org. Se si seguono le direttive di Hubbard e la sua tecnologia, e se si eseguono efficacemente tutti i progetti e i programmi istituiti da Hubbard, allora si è considerati "on source" [allineati a sorgente]. In questo contesto "Source" [Sorgente] significa Hubbard, la sorgente di Scientology. Se si ignorano i consigli di Hubbard, non si seguono esattamente i suoi insegnamenti e direttive, o si consigliano azioni non allineate alle sue intenzioni e alla sua politica, si è considerati "off source" [non allineati a sorgente], una delle etichette più pesanti che un membro della Sea Org può ricevere.

L'esperienza di avere centinaia di persone che operano come un solo corpo grazie al punto sei, e la consapevolezza del numero crescente di persone che grazie alle tecnologie Scientology hanno una vita migliore, può essere molto gratificante. E ciò rafforza le lezioni, giorno dopo giorno. Ben presto la prima lezione – il gruppo prevale su tutte le altre dinamiche – è fissata con tale forza da non avere ripensamenti.

La settima lezione fu spiegata e memorizzata da L. Ron Hubbard in una lettera direttiva di tredici pagine intitolata "La responsabilità dei leader". Inizia con un saggio di alcune pagine che riassume ascesa e caduta di Simon Bolivar, il liberatore dell'America Latina del 19° secolo. Hubbard parla di Bolivar in termini entusiastici: coraggioso, affascinante e scaltro. Racconta come una delle sue molte amanti, Manuela Sáenz, si fosse elevata su tutte. Hubbard sostiene poi che Bolivar non concesse alla Sáenz il potere di usare tutti i mezzi da lei ritenuti necessari per tenere a bada i nemici, e come la donna non pretese o utilizzò quel potere. Questo, per Hubbard, fu il motivo per cui Bolivar e la Sáenz finirono per morire in povertà in un fosso.

Tra le altre cose, Hubbard attribuisce alla Sáenz le seguenti mancanze:

... mai s’impossessò, falsificò o rubò un documento per abbattere i nemici...
... non spese mai una lira per assoldare un assassino svelto di lama e neppure per comprare una solida prova...
... non fu abbastanza spietata da compensare la mancanza di spietatezza di Bolivar...
... non consegnò mai alle truppe di colore la figlia di qualche famiglia che le inveiva contro, dicendo poi: "Qual è la prossima famiglia che parla troppo?"...
Così Bolivar e la Sáenz rimasero vittime delle grette gelosie e dei limiti dei comuni mortali che circondavano la romantica coppia. La direttiva si conclude con tre pagine in cui Hubbard dà i dettagli dei sette punti sul potere desunti dalla vita di Bolivar. Vengono proposti come punti che possono essere pienamente compresi solo se si sono già bene interiorizzate le sei lezioni del membro Sea Org veterano descritte in precedenza. Quei sette punti sul potere meritano attenzione, e per tre motivi.

Uno è che Hubbard e sua moglie finirono per vivere la storia raccontata da Ron, come vedremo. Secondo, mentre l'aderenza alla sua politica contribuì fortemente all'espansione di Scientology, negli anni di declino di Hubbard gli si ritorse contro. Terzo, quel solo, singolo scritto sarebbe diventata la bibbia dei suoi successori. Avrebbe avuto la precedenza su tutte le altre lettere direttive di Hubbard.

Ecco i suoi sette punti sul potere:

1. La vita è vissuta da tantissime persone. E se sei tu alla guida, devi o lasciarle andare per la loro strada oppure guidarle attivamente per quella strada.

2. Quando il gioco o lo spettacolo finiscono, ci deve essere un nuovo gioco o un nuovo spettacolo. E se non c’è, qualcun altro ne inizierà sicuramente uno e se non permetti a nessuno di farlo, il gioco diventerà "prenderti di mira".

3. Se hai potere usalo o delegalo, o di sicuro non lo avrai a lungo.

4. Quando hai delle persone, usale, altrimenti ben presto diventeranno estremamente infelici e le perderai.

Fin qui tutto molto razionale e saggio. Ma gli ultimi tre punti sono un po' più complicati:
5. Quando ti allontani da una posizione di potere, salda subito tutti i conti che hai in sospeso, dà pieni poteri a tutti i tuoi amici e allontanatene con le tasche piene di artiglieria, con ricatti potenziali contro qualunque antico rivale, con fondi illimitati nel tuo conto privato e con gli indirizzi di assassini esperti, poi vai a vivere in Bulgravia e offri bustarelle alla polizia. ... Abbandonare completamente il potere è davvero pericoloso.
Poi si passa all'intrigo e alla convinzione che i fini devono necessariamente giustificare i mezzi quando si ha a che fare con ogni tentativo di diminuire un potere:
6. Quando sei vicino a una persona potente, fatti delegare un po’ del suo potere, quanto basta per poter fare il tuo lavoro e proteggere te stesso e i tuoi interessi, perché puoi venir colpito, amico mio, colpito, poiché la posizione vicino a una persona potente è deliziosa, ma pericolosa, sempre pericolosa, esposta alle beffe di qualunque nemico della persona potente che non osa veramente prenderla a calci, ma che può prendere a calci te. Dunque, se vuoi vivere perlomeno all’ombra o alle dipendenze di una persona potente, devi tu stesso accumulare e USARE abbastanza potere da non perdere terreno, e non limitarti a blaterare dicendo alla persona potente di "uccidere Pietro", sia in modo aperto che in modo velato (e più soppressivo), perché questo distrugge il potere della persona che sostiene il tuo. Non è necessario che venga a sapere tutte le cattive notizie e se è veramente una persona potente non chiederà continuamente: "Che cosa ci fanno tutti questi cadaveri davanti alla porta?". E se sei furbo, non permetterai mai che si pensi che sia stato LUI a ucciderli: questo indebolisce te e inoltre nuoce alla fonte del potere. "Beh, capo, a proposito di tutti quei cadaveri... nessuno mai sospetterà che sia stato tu. A quella lì, a quelle gambe rosa che spuntano fuori, non piacevo." "Beh", dirà lui, se è veramente una persona potente, "perché mi scocci con queste storie se ormai è fatto e sei stato tu a farlo? Dov’è il mio inchiostro blu?". Oppure: "Capitano, tre uomini della pattuglia costiera saranno qui tra poco con il tuo cuoco, Dodi, per dirti che le ha suonate a Simonini". "Chi è Simonini?" "È un impiegato dell’ufficio nemico in città." "Bene, quando avranno finito, porta Dodi in infermeria se ha bisogno di cure. Ah, già: aumentagli la paga." Oppure: "Signore, mi dà l’autorizzazione di firmare gli ordini divisionali?". "Certo."
Sviluppato quell'atteggiamento, quando si ha a che fare con "il nemico" del potere che si sta servendo, e da cui discende il proprio potere, si sospende la coscienza e il punto finale può essere eseguito senza ripensamenti:
7. E da ultimo, cosa più importante, dato che non tutti siamo sul palcoscenico con i nostri nomi scritti col neon, indirizza sempre il potere in direzione di colui dal cui potere dipendi, chiunque egli sia. Potrebbe trattarsi di più soldi per la persona potente, di più facilitazioni, di una difesa accanita della persona potente davanti a una critica o persino del tonfo sordo di uno dei suoi nemici nell’oscurità o la gloria delle fiamme che si levano dall’intero accampamento nemico, come sorpresa di compleanno.
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[Tutte le citazioni in corsivo sono tratte dal libro "Introduzione all'Etica di Scientology", ed. italiana 1998 - NdT]

Nei due anni in cui, alla sede internazionale di Scientology, mi occupai delle comunicazioni di Hubbard da e per i suoi messaggeri, Ron si ritirò sempre più dalla chiesa. Ne appresi presto i motivi e giocai un ruolo centrale nel tentativo di combatterli. Mentre nell'esagerato vuoto lasciato da Ron fazioni rivali dell'allora nascente network internazionale Scientology lottavano per il potere, colui che aderì quasi esclusivamente e strettamente ai sette punti del potere di La responsabilità dei leader ne emerse con tutto il potere.


Note della traduttrice:

1. SHQ, Summer Headquarters, residenza estiva di Hubbard vicino a Hemet, California. Oggi è nota come Gold o INT Base, è sede della dirigenza internazionale di Scientology e residenza di David Miscavige, capo di Scientology dalla morte di Hubbard. Esisteva anche un WHQ, Winter Headquarters, residenza invernale di Hubbard a La Quinta, una 40ina di minuti d'auto da SHQ. Le due località erano segrete alla maggioranza degli scientologist e ci si riferiva ad esse come a "Over the rainbow" [oltre l'arcobaleno]. Hubbard fuggì da La Quinta (WHQ) dopo la defezione di un certo numero di staff, nel timore che il suo nascondiglio fosse stato rivelato alle autorità che lo ricercavano. Nonostante gli imponenti lavori di ristrutturazione, Hubbard non visse mai a SHQ-Gold, optando alla fine per il totale isolamento in un ranch di San Luis Obispo dove rimase dal 1980 al 1986, anno del decesso. Il suo ultimo nascondiglio fu reso noto soltanto dopo la morte.

2. Jentzsch era ed è tutt'ora il Presidente della Church of Scientology International. Si veda qui e qui.

 
 
 
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