Culti - psicologia delle sette contemporanee

Di Marc Galanter [*]

Introduzione di Ermanno Pavesi, SugarCo edizioni, 1993, IBSN 88-7198-205-3, EURO 14,50.

 
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1. Il gruppo carismatico

copertina Coloro che si fanno coinvolgere in un culto religioso o in un gruppo politico radicale possono fare cose che disorientano e spaventano i loro amici e familiari. Per esempio, indossano lunghe vesti color zafferano, si radono la testa o danno via l'eredità di famiglia. Possono accettare come probabili mariti o mogli degli estranei che sono a 15.000 chilometri di distanza, dedicarsi all'accattonaggio o semplicemente scomparire. Le loro famiglie si chiedono: «Come è potuto accadere questo? Nulla poteva farcelo prevedere». Per quanto strane siano queste trasformazioni nel modo di agire e di comportarsi, esse possono essere comprese in termini di principi psicologici. A loro volta questi principi possono essere spiegati e illustrati da quanto si è recentemente scoperto studiando gruppi apparentemente diversi che condividono una caratteristica «carismatica». I gruppi carismatici sono fortemente coesivi. Essi attribuiscono poteri superiori al leader o alla missione del gruppo e controllano rigidamente il comportamento dei fedeli per mezzo di un comune sistema di dottrine. Fra questi gruppi vi sono culti e sette religiose fanatiche, gruppi molto coesivi di automiglioramento e taluni movimenti di azione politica fra i quali qualche gruppo terroristico.

Tre esempi di esperienze di singoli adepti illustrano l'impatto di tali gruppi, i cosiddetti «culti». Il primo riguarda una giovane donna che intervistai tempo fa.

Dopo avere lasciato il suo ragazzo, Debbie andò via dalla sua casa sulla costa atlantica e frequentò corsi estivi in un college in California. Era ottimista, anche se con qualche apprensione, riguardo alla sua imminente avventura. I suoi genitori si auguravano che fosse brava negli studi, come lo era stata alle scuole superiori e al primo anno in un college locale. Ma i corsi estivi non erano ancora iniziati quando a lei capitò di fare amicizia con un gruppo di giovani che le proposero di conoscere membri della loro organizzazione informale, avente lo scopo di promuovere «una ecologia sociale e la pace mondiale». In meno di un mese lei passava già tutto il tempo libero con il gruppo. Solo a quel punto le fu spiegato che il gruppo era associato a un piccolo culto religioso con una teologia elaborata e arcana. In breve tempo il capo del gruppo le chiese di adottare le loro stravaganti dottrine e abbandonare gli studi. È interessante notare che lei accettò tutto questo senza esitazione e cominciò a dedicarsi a tempo pieno alla raccolta di fondi per aiutare il culto. Nei tre mesi seguenti i suoi genitori non riuscirono a rintracciarla. Preoccupati, non seppero dare una spiegazione del motivo per cui lei avesse «buttato via» i valori della famiglia e le sue prospettive future. Cinque anni dopo Debbie descrisse quel periodo come difficile ma significativo e considerò gli amici che si era fatta là fra i migliori che avesse mai avuto.
In anni recenti molti giovani hanno avuto esperienze simili. In moltissimi casi né una malattia psichiatrica né una schiacciante pressione sociale spiegano i profondi cambiamenti nella loro vita. La mente di quella giovane donna era stata «catturata» dal gruppo? Nulla ha provato che avessero usato costrizioni fisiche o coercizione psicologica. La ragazza era stata superficiale nei suoi precedenti rapporti? Né la sua famiglia né i suoi amici lo pensavano. Per lei vi fu, evidentemente, qualcosa di estrinseco nell'esperienza di gruppo che esercitò un'insolita e preponderante influenza. Vediamo un altro esempio.
Dopo essersi dato al bere fin dall'adolescenza, Ted divenne un alcolista attorno ai trentacinque anni. Il suo rendimento lavorativo passò da adeguato a irregolare, e infine Ted perse il posto di addetto alle vendite che aveva trovato una volta finiti gli studi. In meno di un anno la moglie lo lasciò, portandosi via il figlio (lui aveva cominciato a picchiarla quando era ubriaco). Nei cinque anni successivi Ted fu ricoverato due volte in ospedale per emorragia gastrointestinale causata dal bere. Nonostante le reiterate esortazioni di medici e familiari, non accettava di moderarsi nel bere rifiutandosi anche di partecipare alle riunioni dell'associazione Alcolisti Anonimi (AA). Una volta, però, accompagnò un amico alcolizzato in cura a una riunione degli AA e, sorprendentemente, accettò di fermarsi, dopo la riunione, per parlare con altri membri. Quando parlai con lui due anni dopo, l'uomo osservò che a quel punto nessuno si curava più se lui fosse vivo o morto; ma non riusciva a immaginarsi che fosse in suo potere cambiare quello stato di cose. Non seppe spiegare bene perché a quel punto avesse accettato di andare alle riunioni degli AA, però continuò a farlo. Dopo due mesi di sedute regolari acquistò la volontà di rimanere sobrio, sebbene lui stesso si chiedesse ancora come aveva fatto a stare lontano dall'alcool anche solo per sessanta giorni, dato che per oltre due decenni la sua vita era stata dominata dal bere. Successivi contatti avrebbero rivelato che AA Io aiutò a conservarsi sobrio anche in seguito.
Abbiamo finito con il considerare l'alcolismo una malattia che riflette un comportamento patologico e un'incapacità fisica. Come può l'influenza sociale, attraverso un'associazione di autosostegno, cambiare così drasticamente questa sindrome? Come può conseguire risultati così incisivi quando famiglia, amici e specialisti sono stati tanto poco efficaci nell'indurre gli alcolisti a cambiare il loro comportamento, perfino quando la malattia sembra portarli alla morte? Come vedremo, il reciproco supporto dei membri dell'associazione Alcolisti Anonimi serve a impegnare gli alcolizzati e a sollecitare la loro accettazione dei valori del gruppo. La combinazione di intensa coesione sociale e di una fede ben radicata e condivisa (fede nell'astinenza, in questo caso) produce tale stupefacente cambiamento comportamentale.

Vediamo un caso diverso. Qui abbiamo un'influenza di gruppo in campo politico.

Nel marzo 1978 un gruppo di giovani rapì Aldo Moro, figura di spicco della politica italiana, ex presidente del Consiglio e potenziale candidato alla presidenza della Repubblica. Mentre l'intero paese aspettava col fiato sospeso, i rapitori lo tennero prigioniero e poi lo assassinarono. Il loro gruppo, che aveva addentellati in tutto il paese, era formato in maggioranza da individui provenienti dalla borghesia. Erano generalmente buoni parlatori, abbastanza colti e desiderosi di promuovere il benessere della gente, almeno secondo loro, eppure non persero nessuna occasione per ferire o uccidere esponenti della classe dirigente del paese.
Come nasce una organizzazione così ramificata e che cosa la tiene unita di fronte alla condanna unanime? Come riesce a inculcare norme di comportamento così devianti nei suoi membri per i quali, prima di entrare nell'organizzazione, l'omicidio doveva pur essere un atto inqualificabile? Quanto a psicologia, ambiente sociale e istruzione questi giovani non differiscono dai loro compagni di scuola che si sono inseriti in un'esistenza convenzionale per quanto concerne la famiglia, il lavoro e la politica. Com'è che una filosofia generica costringe attivisti politici ad abbandonare norme di comportamento profondamente radicate, a sacrificare la vita altrui e rischiare la propria? Entrano in azione meccanismi comuni d'influenza di gruppo in questi vari esempi, sia pure diversi per quanto riguarda i loro obiettivi e i loro risultati personali, sociali e politici?


Che cos'è un gruppo carismatico?

Un gruppo carismatico conta da una dozzina o poco più di seguaci fino a centinaia o migliaia. È caratterizzato dai seguenti elementi psicologici: i seguaci (1) hanno un sistema comune di fede, (2) dimostrano un alto livello di coesione sociale, (3) sono fortemente influenzati dalle norme comportamentali di gruppo, e (4) attribuiscono potere carismatico (o talvolta divino) al gruppo o alla sua leadership.

In un gruppo carismatico gli impegni possono essere estorti da sconosciuti in un modo raramente riscontrato in altri ambiti. Anche Freud, che sosteneva la natura irrefrenabile delle motivazioni individuali, parlò a lungo di questa capacità nel suo libro Psicologia collettiva e analisi dell'Io.(1) Trattò di queste forze in termini di «reazione primitiva di solidarietà del gruppo» e disse che «qualcosa opera indubbiamente sotto forma di compulsione a fare come gli altri, a rimanere in sintonia con la maggioranza».

Vedremo che la base conoscitiva per questo conformismo è un sistema di fede comune. Quando i gruppi hanno una natura religiosa, le loro dottrine sono spesso codificate, ma taluni gruppi hanno appena un orientamento ideologico mal definito. In alcuni culti religiosi, come si è visto nell'esperienza di Debbie, i convertiti vengono introdotti all'ideologia del gruppo soltanto dopo che vi sono entrati. Però, una volta che si sono identificati con l'orientamento generale del gruppo, ne accettano subito le regole di fede non appena vengono spiegate chiaramente.

I seguaci di tali gruppi tendono a preoccuparsi molto del benessere reciproco e si impegnano a fondo in attività comuni. La loro coesione sociale, essenziale per l'integrità del gruppo, si riflette nella stretta interrelazione tra l'esistenza del singolo e quella di tutti gli associati. Le riunioni, frequenti, servono da perno per funzioni di gruppo e ne enunciano la coesione. Spesso i fedeli manifestano il bisogno di radunarsi regolarmente per sviluppare attività comuni come piccoli lavori e riti di gruppo, che a loro volta giustificano tali riunioni. Gli associati a gruppi di culto e di autosostegno sono sempre al corrente di quando si terranno i prossimi incontri di gruppo, e li considerano un mezzo per infondere dedizione e coscienza dello scopo. Lo stato emozionale di un seguace potrebbe essere molto vulnerabile all'interruzione di tale routine, cosicché mancare a un incontro di gruppo può generare angoscia. Come osservò un vecchio membro degli AA nel parlare dell'angoscia suscitata in lui dai problemi quotidiani, «fa sempre bene andare a una riunione».

Le norme di comportamento di un gruppo carismatico giocano un ruolo non comune nel determinare la condotta dei membri. Per esempio, gli usi riguardo al matrimonio possono cambiare profondamente quando il gruppo adotta un determinato stile di fidanzamento. Questo è emerso in modo eccezionale fra i seguaci di origine americana della Chiesa dell'Unificazione (i «moonisti »). Sebbene provenissero in generale da famiglie tradizionali, essi accettavano di fidanzarsi in cerimonie di massa con partner che non avevano mai visto prima, scelti per loro in quel momento dal reverendo Moon.

I fedeli fanno appello alle norme di gruppo anche quando si trovano in situazioni nuove. Possono reagire in maniera pressoché uguale nei confronti di estranei ritenuti minacciosi - in taluni gruppi, con uno sguardo fisso e assente. Spesso tale tipo di comportamento in una situazione imprevista è scelto con implicita consapevolezza, dato che si basa su un precedente insegnamento del gruppo; altre volte emerge senza una valutazione cosciente. Ho trovato interessante visitare le sedi di associazioni di culto lontane dagli Stati Uniti, dove il tipo di socializzazione, il modo in cui il cibo viene servito e la reazione agli estranei sono uguali a quelli riscontrati in paesi distanti migliaia di chilometri.

I cambiamenti del comportamento possono arrivare a imitare sintomi di malattia mentale. In questi gruppi le esperienze trascendentali, spesso allucinatorie, sono assai comuni. Un compagno morto sta «letteralmente» accanto a un seguace, o un personaggio storico gli porta consigli d'ispirazione divina. Si racconta di intense esperienze emozionali, come euforia o malessere profondi. Tali fenomeni, riscontrabili spesso fra i malati mentali, si verificano in individui che non manifestano altrimenti anomalie psichiatriche.

I poteri carismatici sono tipicamente attribuiti ai leader, ma anche al gruppo o alla sua missione. Certi gruppi terroristici di oggi, per esempio, sono considerati dai loro appartenenti come messaggeri di un inevitabile nuovo ordine mondiale - fede sorprendente, dato che la generale accettazione della loro singolare filosofia è così improbabile.

Queste caratteristiche dei gruppi carismatici sono spesso meglio illustrate dai cambiamenti che provocano nel pensiero e nel comportamento di singoli fedeli in singoli episodi. Traggo un esempio dalle mie esperienze di ricerca nella Missione della Luce Divina, un nuovo movimento religioso d'ispirazione induista. Janice, diciottenne americana all'ultimo anno delle scuole superiori, aveva parlato dei suoi problemi a un consulente di questo gruppo durante uno dei loro convegni religiosi. Io ero presente al convegno perché stavo studiando il gruppo e potei intervistare alcuni seguaci al centro di consulenza.

L'atmosfera del centro era molto coesiva; si potevano notare forti sentimenti di cameratismo e una coscienza di fede comune quando i seguaci arrivavano a discutere di una gamma di problemi psicologici. Janice giunse al centro visibilmente angosciata. La consulente con cui parlò non era un medico, ma offriva il suo tempo per il «Servizio», così erano chiamate le buone azioni religiosamente motivate. Mi permise di assistere al suo colloquio con la ragazza.

Appena la consulente iniziò a parlare, Janice scoppiò a piangere, spiegando la sua infelicità e i suoi sentimenti d'impotenza. Accennò soprattutto a come le riuscisse difficile meditare adeguatamente, dicendo del loro guru: «Maharaj Ji mi ha dato la Conoscenza ma io non riesco a vedere la sua luce». Questo era molto importante per lei, disse, perché non poteva essere una premie («amante di Dio»), cioè una seguace del culto, senza quella esperienza trascendentale, raggiungibile con un'adeguata meditazione. Era, inoltre, turbata perché si sentiva obbligata a «servire» di più il guru onde compensare la propria inadeguatezza a meditare. Il modo migliore per farlo sarebbe stato quello di fare nuovi proseliti ma lei, riferì fra le lacrime, era troppo spaventata per avvicinare le persone.

La consulente ascoltò queste espressioni di angoscia, dando implicitamente un aiuto con la sua presenza e con il suo contegno. Si comportava in modo conforme all'atmosfera del centro di consulenza; era empatica, perfino affettuosa, e accennò a problemi simili di meditazione che altri fedeli avevano sperimentato di tanto in tanto. Valutò la situazione dalla posizione di forza delle dottrine trascendentali del gruppo e non minimizzò il bisogno di un'adeguata meditazione o Servizio. Tuttavia diede a Janice degli esempi per indicarle come si potevano superare problemi simili ai suoi con la piena devozione al guru, e la rassicurò che non occorreva eseguire una sproporzionata quantità di Servizio in quel momento. Disse che l'angoscia si sarebbe forse risolta con un rito chiamato darshan, un incontro con il guru in persona, dove tali difficoltà sono spesso rimosse. Seguì questo dialogo.

CONSULENTE: Ora dimmi come ti senti verso i premies con cui mediti.
JANICE: Naturalmente sono molto vicina a loro. Sono così importanti per me, come fratelli e sorelle.
CONSULENTE: Dunque ora sai che quando sei con loro tu confermi la Conoscenza di Maharaj Ji. Partecipi ai satsung [sermoni religiosi] con loro, e andrai anche al darshan. Sai che Maharaj Ji farà in modo che tu sia fedele, e questo ti darà sollievo.
JANICE: Sì. Hai ragione.
A quel punto la ragazza, come molti altri guariti dalla fede, era calma e visibilmente rassicurata, perfino serena. Chiesi alla consulente come interpretasse la sua angoscia. Cercò di spiegarlo ricorrendo a una risposta semplice, come un professionista parlerebbe a un profano. «Lei aveva in qualche modo perduto la Conoscenza. Questo capita spesso. Non sapeva come raggiungere la via di Maharaj Ji ». Ciò fu detto più come fatto letterale che come metafora, un'espressione del ruolo carismatico del loro capo.

Più tardi potei parlare con Janice. La ragazza aveva una relazione con un uomo sposato, più vecchio di lei, più o meno nell'epoca in cui era entrata nel gruppo. Quando lui la lasciò due mesi prima che lei cercasse consiglio al centro, Janice cadde in preda a una forte depressione, abbandonò ogni relazione sociale e non riuscì più a concentrarsi negli studi. A quel punto ebbe anche difficoltà a meditare, chiaramente a causa dell'angoscia connessa con lo stato depressivo. Questo non fece che alimentare il suo senso di colpa e probabilmente prolungare la reazione depressiva che altrimenti sarebbe, forse, regredita. Cominciò a sentire il bisogno di fare più Servizio per il gruppo, in parte per espiare la relazione sessuale, e anche perché si considerava inadeguata come fedele della setta. Di queste cose non aveva parlato con nessuno. Sentiva che la sua condotta era stata contraria ai princìpi del gruppo e se ne vergognava.

La genesi delle difficoltà meditative di Janice mi sembrò abbastanza chiara, ma lei non era riuscita a vedere da sé qual era la situazione. Si noti che il problema della sua relazione finita poteva anche non essere messo in discussione con la consulente della Luce Divina perché la coesione del gruppo e la natura esplicativa del suo dogma (Conoscenza di Maharaj Ji) erano implicitamente accessibili anche senza una maggiore esplorazione. Queste forze di gruppo si mobilitarono per rimuovere i suoi sentimenti di colpa. Parlai con Janice il giorno seguente dopo una prolungata seduta di CONOSCENZA, un'esperienza religiosa tenuta a un folto gruppo di seguaci secondo un principio del guru, e le chiesi come si sentisse. Disse che la consulente

aveva ragione nel sostenere che Maharaj Ji poteva offrirmi altri mezzi per servirlo. L'ho capito oggi, quando ero con tutti i premies, la saggezza di Maharaj Ji mi toccava e quanto facevo era giusto... È chiaro che tutto si risolverà; la Conoscenza è di nuovo in me.
Questa ragazza era piombata nell'angoscia, accentuata dai suoi sentimenti di distacco dal gruppo, e manifestamente sollevata e poi guarita grazie a una rinnovata coesione. Le norme di comportamento stabilite dal gruppo furono usate per costruire la sua «cura», e il problema si risolse definitivamente con il suo impegno a perseguire l'obiettivo carismatico del gruppo: la «Conoscenza» o illuminazione divina.


Una prospettiva di ricerca

La psicologia di coloro che aderiscono a una setta non è mai stata attentamente indagata. In anni recenti, tuttavia, l'interesse scientifico per tali gruppi e la nostra capacità d'indagare sul loro impatto emozionale sono progrediti notevolmente. Per valutare questa nuova prospettiva, dobbiamo rivedere i precedenti studi.

Sebbene Freud scrivesse della natura contagiosa dei gruppi coesivi, il suo contributo in questo campo non conobbe la fortuna di quelli sulla psicologia individuale. I suoi studi sull'inconscio e sull'importanza delle esperienze della prima infanzia sono stati approfonditi notevolmente, ma le sue teorie sulle esperienze di gruppo non sono state ampliate da psicologi e psichiatri. William James si rese conto della mancanza di attenzione scientifica per l'impatto che tali esperienze hanno almeno due decenni prima che Freud trattasse dell'influenza di gruppo. Nel 1902 questo fondatore della psicologia moderna scrisse una severa critica dell'ignoranza professionale a proposito della psicologia dell'affiliazione religiosa.

Il materialismo medico liquida san Paolo definendo la sua visione sulla via di Damasco un attacco convulsivo della corteccia cerebrale occipitale, essendo lui epilettico. Liquida santa Teresa come isterica, san Francesco d'Assisi come affetto da tare ereditarie. (2)
Perché il richiamo di James all'aspetto psicologico di tali fenomeni religiosi non riscosse una maggiore attenzione? La domanda può essere posta in altro modo con riferimento alla nostra tesi. Se il gruppo carismatico è un fenomeno distinto, governato da princìpi psicologici, perché ha stimolato così pochi studi sistematici? Perché non si è sviluppato un insieme coerente di osservazioni e di princìpi esplicativi che desse un senso alle esperienze dei suoi membri? Le ragioni di questa trascuratezza riflettono gli atteggiamenti contemporanei verso la ricerca psicologica e i nostri limiti nella comprensione e nello studio della base biologica del comportamento sociale. Innanzitutto consideriamo i «tipi» d'indagine scientifica.

Inutile dire che l'indagine scientifica è modellata dal pregiudizio sociale. In casi estremi tale pregiudizio viene addirittura imposto dalla costrizione violenta dell'autorità sociale. Più comunemente rispecchia disattenzione verso prospettive alternative. Il paradigma contemporaneo della ricerca psicologica si basa su una ben controllata quantificazione del comportamento osservabile. Esso è strettamente collegato a una filosofia della scienza enunciata dal filosofo e scienziato David Hume circa due secoli fa.

Se prendiamo in mano, per esempio, un qualsiasi volume di teologia o di metafisica scolastica, domandiamoci: contiene qualche ragionamento astratto concernente quantità e numero? No. Contiene qualche dimostrazione sperimentale su cose pratiche ed esistenza? No. Allora diamolo alle fiamme: perché non può contenere niente altro che sofismi e illusioni. (3)
Da questo atteggiamento verso la scienza empirica deriva il valore che diamo all'osservazione quantificabile di fenomeni naturali misurabili. In psicologia questo incoraggia la tendenza a studiare fenomeni psicologici che possono essere riprodotti e misurati in un ambiente controllato, non necessariamente quelli che sono più intensamente coercitivi. Questo approccio generale ha dato frutti nel campo della psicologia, come nelle opere di Pavlov, Watson e Skinner. Inutile dire che questi ricercatori non studiarono le esperienze dei gruppi carismatici nei loro laboratori.

In realtà, la comunità scientifica che si basa sulle esperienze di laboratorio diffida da molto tempo della natura soggettiva delle deduzioni in campi in cui non è facile condurre studi formali, controllati. Di conseguenza quale approccio scientifico si confà ai gruppi carismatici? Una prospettiva, derivata dalla teoria evoluzionistica (4) e divulgata da Edward Wilson, è la sociobiologia (5), che applica i princìpi dell'evoluzione, l'etologia (studio del comportamento animale) e la genetica allo studio delle interazioni sociali.

I genetisti della popolazione hanno evidenziato che la sopravvivenza nell'arco di generazioni di tratti comportamentali biologicamente fondati dipende dai tratti stessi più che dalla persona che li manifesta. Un tratto comportamentale può persistere se migliora la capacità di sopravvivenza di parenti della persona che ha gli stessi geni per quel tratto. (6) Quindi l'affiliazione e l'altruismo sociali diventano aspetti importanti di evoluzione. Nei miei studi ho cercato d'indagare sulla natura del comportamento affiliativo (7) per poi confrontarlo con comportamenti osservati da antropologi (8) ed etologi (9) per capire come modelli di affiliazione di gruppo si evolvessero e continuassero.

Il mio primo studio delle sette carismatiche fu condotto sulla Missione della Luce Divina, un gruppo d'ispirazione induista che venerava un guru bambino. Tra i seguaci dei gradi superiori trovai una forte coesione sociale e anche un minor livello di sintomi di angoscia nevrotica dopo l'adesione al gruppo. Vi era un rapporto fra queste due osservazioni: esisteva una marcata correlazione fra il grado di affiliazione al gruppo che il fedele sentiva e il sollievo dall'angoscia che avvertiva entrandovi.

In seguito studiai l'adesione e l'appartenenza al gruppo dei seguaci del reverendo Moon («moonisti») e rilevai che adepti potenziali acquistano molto rapidamente un alto grado di coesione sociale durante le fasi iniziali dei seminari introduttivi. Inoltre, il benessere psicologico dei seguaci attivi era direttamente proporzionale alla più o meno stretta affiliazione al gruppo, così com'era sentita, in termini di legami sociali con altri membri e di accettazione dei dogmi del gruppo.

Si potrebbe quindi concludere che gli affiliati a gruppi carismatici provano sollievo dalla loro angoscia nevrotica non appena entrano a farne parte e che il mantenere tale sollievo (cioè un senso di benessere psicologico) dipende dall'intensità del loro rapporto con il gruppo: se in qualche modo si dissociano, provano angoscia; se restano legati, conservano il loro benessere psichico. Questo «effetto sollievo» serve a rafforzare il coinvolgimento dei seguaci nel gruppo e accresce continuamente la loro accettazione della fede del culto, ricompensandoli per esservisi conformati. Come vedremo, le testimonianze antropologiche ed etologiche indicano che tali comportamenti affiliativi e tali pulsioni biologicamente fondate migliorano la capacità di un gruppo di adattarsi e sopravvivere.

Una diversa prospettiva scientifica - un approccio sistemico - può essere usata per analizzare struttura e funzionamento di un gruppo. (10) Guardando un sistema, non chiediamo innanzitutto che cosa stimoli il singolo membro ad agire. Diciamo invece: «Come vengono soddisfatti i bisogni del gruppo dal comportamento complessivo osservato nei suoi adepti?».

Da questo punto di vista molte osservazioni di comportamento individuale possono sintetizzarsi in un modello che ci aiuti a meglio comprendere le motivazioni. Potremmo considerare il comportamento di questi individui quando è generato dai bisogni del gruppo sociale, anche se può apparire in senso contrario ai loro interessi e alla loro personalità. Questo ci consente di vedere come possano essere fortemente influenzati a conformarsi alle necessità del sistema per stabilizzarsi e realizzare obiettivi più vasti.

Molti anni fa vidi un eccezionale esempio di come questa influenza faccia sì che l'impatto degli eventi in un gruppo si diffonda in un altro. Una domenica di novembre del 1978 un titolo a caratteri cubitali su «The New York Times» diceva: Il tributo di morti in Guyana è di almeno 900 americani, con 260 bambini fra le vittime nella comune. Divenne subito chiaro che nell'ultima settimana una situazione strana e spaventosa, di proporzioni storiche, si era verificata fra i seguaci di Jim Jones, leader del culto. Un suicidio in massa di cittadini statunitensi era avvenuto nell'isolato villaggio sudamericano dove i seguaci di quel gruppo si erano autosequestrati. Paradossalmente, Jones era un pastore protestante che fino a pochi mesi prima era stato uno stimato membro della comunità religiosa della zona di San Francisco.

Ebbi qualche incertezza su come collegare questa tragedia con i moonisti, di cui studiavo le tecniche di proselitismo. I moonisti stessi erano stati oggetto di una controversa indagine da parte del Congresso degli Stati Uniti ed erano assai vulnerabili alle ansietà che la pubblica opinione nutriva sul problema dei culti. Erano Stati paragonati a ogni movimento deviante che i testimoni parlamentari fossero in grado di segnalare.

Solo pochi giorni prima, intervistato su quanto era avvenuto in Guyana da un periodico nazionale, (11) ero stato riluttante a infangare inavvertitamente i nuovi movimenti religiosi, vulnerabili e meno minacciosi, associandoli a quei bizzarri eventi, in quanto mi sembrava che le circostanze relative al Tempio del Popolo di Jim Jones fossero uniche. (Particolarmente importante fu il prolungato isolamento dei seguaci di Jones nella foresta, senza nessun feed-back dall'esterno del gruppo per contraddire le idee paranoidi che lo stesso Jones aveva infine sposato.)

La vulnerabilità dei moonisti all'opinione pubblica, in tale frangente, fu confermata quella stessa mattina quando telefonai al loro centro sui monti che circondano San Bernardino in California, dove presto sarebbe iniziato il mio studio sulle loro pratiche di proselitismo. Il coordinatore del centro riferì con preoccupazione che i genitori di cinque partecipanti ai seminari erano venuti in auto da Los Angeles per portare via i loro figli, temendo che andassero incontro a un funesto destino. Una famiglia si era fatta accompagnare dalla polizia locale, e i capi del centro avevano ritenuto saggio, in quelle circostanze, aderire alle richieste dei genitori, anche se non ravvisavano una giustificazione legale per portare via quei seguaci che non erano né minorenni, né soggetti a coercizione, né mentalmente incapaci.

Più tardi quel giorno, quando entrai nella sede della Chiesa dell'Unificazione (questo è il nome ufficiale del movimento del reverendo Moon) a Manhattan per prendere gli ultimi accordi amministrativi per il mio studio, mi chiesi se qualche onda riflessa avesse già colpito il gruppo. Si apprestavano ad affrontare attacchi pubblici contro la loro setta? Conoscevo il giovane al banco delle informazioni e osservai che sarebbe stata una sfortuna se gli eventi di Jonestown fossero stati usati contro la sua Chiesa. Lui disse: «È triste che sia successo a loro. Ma nessuno paragonerebbe noi a quel gruppo terribile».

Andai di sopra chiedendomi perché quel giovane potesse dire una cosa del genere e trovai un'atmosfera calma. Fu presto evidente che non si sentivano toccati dagli eventi di Jonestown. Parlando poi con i fedeli in generale e con i direttori di alcune sezioni della Chiesa, fu ulteriormente chiaro che dalla dirigenza non era venuta alcuna direttiva circa l'atteggiamento che il gruppo doveva adottare sui fatti di Jonestown. I moonisti, che funzionano come un sistema sociale integrato, avevano sviluppato più o meno una prospettiva psicologicamente difensiva. Il loro rifiuto delle implicazioni che potevano derivare dall'affare di Jonestown apparentemente proteggeva il gruppo dal pericolo di vedersi attribuire somiglianze fra la loro struttura di pseudo-culto e quella del Tempio del Popolo. Un seguace mi fornì la sua opinione sui detrattori del gruppo, pur razionalizzando quali critiche potessero essere mosse.

Non abbiamo affatto bisogno di discutere di questo con loro. Si appiglierebbero a ogni piccola cosa che possano scovare per criticarci. Comunque, se c'è una cosa da fare qui [nella Chiesa], è che ognuno di noi faccia ciò che vuole. Il reverendo Moon non ci condurrebbe mai fuori strada in nessun caso, grazie al suo Principio Divino.
In breve, conclusi che si preferiva accantonare il problema. I seguaci di questo sistema sociale erano arrivati ovviamente a un consenso che assicurava soprattutto l'equilibrio del sistema, sopprimendo l'autoesame potenzialmente minaccioso.

Su tale base possiamo considerare il modo di agire di un gruppo carismatico a orientamento religioso in relazione a un aspetto unico della teoria dei sistemi - il ruolo del feed-back fra i componenti del sistema. Il gruppo deve lottare per preservare la propria integrità e farsi accettare o almeno tollerare dalla società in generale, poiché esso costituisce tipicamente una minoranza piccola e deviante. Di fronte ai fatti di Jonestown i moonisti con cui parlai erano chiaramente indotti a sopprimere qualsiasi implicazione minacciosa. Quasi fosse preordinata, il sistema assunse « inconsciamente» una posizione che ne assicurava la stabilità. Dovette evitare il feed-back implicito nella constatazione che la Chiesa dell'Unificazione potesse somigliare al Tempio del Popolo. In maniera simile operano i gruppi carismatici per realizzare i propri obiettivi. Incorporando i bisogni di affiliazione dei seguaci nel sistema sociale del gruppo, essi creano una forte unità sociale capace di esercitare una notevole influenza su pensieri e azioni dei seguaci stessi.

Gruppi fortemente religiosi, quasi-religiosi e politici si formano comunemente per raggiungere obiettivi pratici. Alcuni si occupano della disparità fra l'angoscia dei seguaci e il loro desiderio di appagamento tramite strumenti spirituali. Altri offrono la liberazione da una tossicodipendenza mal gestita dalla comunità medica. Altri ancora alleviano le insopportabili conseguenze di una forte oppressione sociale. Influenzare il corso di questi gruppi, o farli andare verso fini costruttivi, può dipendere in ultima analisi dalla nostra buona o meno buona conoscenza della loro psicologia di fondo.


Note:

1. S. Freud (1921), p. 16

2. W. James (1902).

3. D. Hume (1779).

4. C. Darwin (1871).

5. E. O. Wilson (1975).

6. S. Wright (1945).

7. M. Galanter (1978, 1983a).

8. A. Jolly (1972).

9. S. J. Suomi (1972); S. J. Suomi e al. (1978); J. M. Smith (1964), S. Wright (1945).

10. L. von Bertalanffy (1950).

11. «U.S. News and World Report», 4 dicembre 1978, pp. 28-29.


Marc Galanter è professore di psichiatria e direttore della Division of Alcoholism and Drug Abuse alla University School of Medicine di New York; dirige l'équipe che studia i Nuovi Movimenti Religiosi per conto dell'American Psychiatric Association.

 
 
 
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