In ottemperanza al provvedimento 08/05/2014 Garante per la protezione dei dati personali, si avvisa il lettore che questo sito potrebbe utilizzare cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche anonime. Proseguendo con la navigazione si accetta l'uso dei cookie.
Al supermarket delle religioni 

A cura di di Sandro Magister.

Tratto da L'Espresso n. 25, anno XLIV - 2 Luglio 1998.

Tabelle grafiche contenute nell'articolo.

 
 
Focolarini e neocatecumenali, Cl e pentecostali. Ortodossi e Opus Dei. Ma anche maghi, miracoli e guaritori. Altro che ateismo dilagante! Una ricerca rivela a sorpresa che la domanda di fede cresce. E che l'offerta si adegua.
 
 
Gesù cacciò a frustate i mercanti dal tempio. Roberto Marchisio e Maurizio Pisati fanno il contrario. Per la prima volta hanno applicato all'Italia religiosa i modelli dell’economia di mercato. E ne sta uscendo anche qui uno sconquasso. 

Stando alle loro analisi, la teoria della crescente irreligione dell’uomo moderno è sbagliata. Vadano o non vadano gli italiani a messa, "l’unica cosa certa è che è presente un’elevatissima domanda potenziale di religiosità". Che se soltanto fosse attivata da "offerte" più variegate e competitive, farebbe impennare le personali "scelte di portafoglio". Quelle che investono sull’Aldilà. 

Marchisio e Pisati sono due tranquilli studiosi del profondo Nord. Il primo abita ad Acqui Terme, il secondo a Busto Arsizio. Insegnano l’uno alla Statale di Milano, l’altro all’università di Trento. La loro analisi l’hanno covata per un po’ di anni in silenzio. Ma adesso che l’hanno pubblicata su "Polis", la raffinata rivista dell’Istituzione Cattaneo di Bologna, edita dal Mulino, se ne farà un gran parlare. Anche con polemiche accese. Tra sociologi, politologi, uomini di Chiesa. 

A metterli sul chi vive era stata l’uscita, nel 1995, della più grossa indagine mai prodotta sulla religiosità in Italia. Un’indagine ufficialissima, finanziata dalla Conferenza episcopale, eseguita dall’Università cattolica di Milano su un campione di 4.500 cittadini, stampata da Mondadori e lanciata con gran suono di campane. Tutto per concludere: l’irreligione avanza ma l’Italia cattolica tiene, la Chiesa anche, tra i suoi fedeli c’è solo un po’ di confusione. 

 "Confuso sarà chi legge i dati così", si dissero i nostri due studiosi. Ad esempio i dati del riquadro qui vicino. Ripubblicandoli oggi su "Polis", Marchisio e Pisati li interpretano in modo non convenzionale. Primo: l’ateismo professo e il rifiuto d’ogni fede sono di pochissimi, un 5 per cento scarso, una "quota fisiologica" che ricorre un po’ in tutti i paesi occidentali e che "confuta qualsiasi ipotesi di secolarizzazione di massa delle coscienze". Secondo: tra quel 95 per cento di italiani portatori di una fede in Dio e di una domanda religiosa, hanno scelto d’aderire alla Chiesa cattolica oppure a un’altra religione poco più della metà. Terzo: quelli che "rivelano una propensione più o meno elevata alla religiosità ma non sono pienamente soddisfatti dai modelli della Chiesa cattolica né aderiscono a un’altra organizzazione religiosa" sono la bellezza del 40 per cento. Ed è qui che il paesaggio si fa più mosso, instabile. 

Già questo quadro d’insieme, infatti, "conferma che il mercato religioso italiano è ormai caratterizzzato da un visibile processo di diversificazione". Ma c’è di più. Accanto a una crescente pluralità delle fedi, c’è anche un moltiplicarsi delle "scelte individuali di portafoglio". Anche in religione, sostengono Marchisio e Pisati, operano le leggi dell’economia. Quando la domanda di religiosità di un singolo incontra le offerte presenti sul mercato, può compiere la sua "scelta di portafoglio" in vari modi, anche combinando elementi di due o più imprese religiose. Il verbo ufficiale della Cei chiama tutto ciò "confusione". Marchisio e Pisati la vedono in modo opposto: "ricorso a strategie individuali di costruzione della propria identità religiosa". 

 E rileggendo a suo modo i dati dell’indagine Cei, Marchisio scova fior di conferme. Fra quel 30 per cento abbondante di italiani che credono "solo in parte" nella Chiesa cattolica, ben tre su quattro intrecciano gli articoli di fede del "Credo" con credenze negli astri o nella magia. Non solo. La contaminazione tenta anche gli aderenti integrali alla Chiesa cattolica. Di essi, due su tre ammettono di credere in spiriti o stelle. E un buon terzo confessa d’aver frequentato santoni o praticato lo zen. 

 Marchisio e Pisati hanno un maestro riconosciuto. È l’americano Rodney Stark, simpatico professore di Seattle, sulla costa del Pacifico. Quando a metà degli anni Ottanta applicò per primo i modelli dell’economia di mercato al fenomeno religioso, nelle accademie trionfava la teoria della secolarizzazione: la modernità erode la fede, le chiese vuote d’Europa ne sono la prova e anche negli Stati Uniti finirà così. Stark sosteneva invece la tesi opposta, che torna a spiegare oggi in un suo bel saggio su "Polis": "Maggiore è il numero di organizzazioni religiose di successo presenti in una società, più elevato è il livello complessivo di partecipazione religiosa". Gli Stati Uniti ne sono la prova. E anche in Europa sarà così, se solo il suo mercato religioso si modernizza. Con offerte sempre più diversificate, concorrenziali, aggressive. 

 Oggi negli Stati Uniti le analisi di Stark sono vincenti. Si è convertito ai suoi modelli interpretativi persino Peter Berger, il più autorevole e fine dei teorici della secolarizzazione. Ma in Italia no. Fino a ieri Stark non era nemmeno citato dagli studiosi del ramo. Tanto meno sono stati tradotti i suoi libri, che in più hanno anche il pregio della buona scrittura. Il suo articolo sull’ultimo numero di "Polis" è una prima assoluta, per l’Italia. 

 Ma adesso che il tabù è infranto, se ne vedranno delle belle. L’Italia è un caso esemplare di economia religiosa a monopolio declinante. Proprio perché a lungo monopolistica, e quindi incontrastata, la Chiesa cattolica ha subito un calo di vitalità, s’è impigrita, ha perso vigore missionario. I preti sono diminuiti e così le presenze alla messa domenicale. 

 Questo calo non è uguale ovunque. Nel Sud è più pronunciato che nel Nord. Ma il Nord s’è temprato con le battaglie del mondo cattolico ottocentesco contro i poteri laicisti, massonici e antipapali. E prima ancora è stato teatro della formidabile offensiva cattolica contro il protestantesimo che premeva dalle Alpi e delle missioni popolari per la riconquista alla fede delle campagne. Il Norditalia capitalizza ancor’oggi l’eredità del Concilio di Trento e di san Carlo Borromeo. Ma più di recente è venuto il Concilio Vaticano II. Che non ha rafforzato ma indebolito la tenuta della Chiesa sul mercato dei beni religiosi. Tanto al Sud che al Nord. 

Pace, dialogo, ecumenismo, le tenui parole d’ordine conciliari sono controproducenti agli effetti del marketing, quando la Chiesa cattolica è già in sé fiacca e il campo s’affolla di concorrenti aggressivi, come mostrano le cartine di queste pagine. Ecumenismo è il nome dato a un’intesa di cartello tra le imprese religiose in passato ferocemente concorrenti: la Chiesa cattolica, le Chiese protestanti e le Chiese ortodosse. Per contrastare unite la minaccia dell’ateismo e delle sette. Ma sarebbe come sostituire a dei monopoli regionali (cattolico nei paesi latini, luterano in Svezia, anglicano in Inghilterra, eccetera) un oligopolio continentale che ne riprodurrebbe solo i difetti. I capi delle rispettive Chiese l’hanno capito e la riprova è che l’ecumenismo è da anni in caduta libera. Dietro agli abbracci di facciata, tipo Assisi 1986 e Graz 1997, scintillano le lame. In Russia, il patriarcato di Mosca è stato a un passo dall’ottenere dallo Stato la messa fuorilegge della Chiesa cattolica, trattata alla stregua dei Testimoni di Geova. 

Tanto più il cattolicesimo è appartenenza nominale di massa, tanto più è attaccabile dalla concorrenza. In America latina, dove oltre il 90 per cento dei cittadini si dichiarano cattolici, vi sono ormai più missionari evangelici, mormoni e di altri nuovi culti che preti diocesani. È comprensibile che Giovanni Paolo II abbia deciso di cambiare stile e di farla finita col buonismo conciliare. La sua prossima enciclica sarà tutta puntata contro il "relativismo". Il suo prefetto di dottrina, il cardinale Joseph Ratzinger, è ai vertici della Chiesa la mente più lucida nel governare la svolta neointransigente. Mentre le chance d’essere eletto papa del dialogante ed ecumenico cardinale Carlo Maria Martini sono pari a zero, se misurate secondo gli imperativi del mercato religioso. 

Se in Italia la Chiesa cattolica "tiene", nonostante il moltiplicarsi delle offerte religiose esterne, è anche perché essa stessa è capace d’offrire una gamma molto diversificata di prodotti. Il Concilio, in questo assecondando il mercato, ha molto valorizzato le peculiarità delle Chiese "locali". Poi ci sono gli ordini religiosi. E poi i movimenti vecchi e nuovi. La vigilia della scorsa Pentecoste, in piazza San Pietro e in mondovisione, hanno celebrato col papa una convention spettacolare. C’erano capi e militanti dei focolarini e dei neocatecumenali, dei carismatici e di Sant’Egidio, di Comunione e liberazione e dell’Opus Dei. Di tutto. Per tutti. La Chiesa tuona parole di discredito contro le sette esterne, ma è molto indulgente con le similsette che alleva dentro di sé. Perché sono le uniche sue sottoimprese che sanno convertire, far proseliti, riempire i seminari. 

Poi ci sono le Madonne che lacrimano e i vescovi guaritori, i miracoli e le apparizioni, gli esorcisti e la Sindone. La Chiesa cattolica è una potenza unica, nell’offrire risorse a tutti i possibili segmenti del mercato religioso. Più i concorrenti la sfidano e più risvegliano la sua reattività. Il Giubileo sarà la sua grande promotion, su un mercato religioso mondiale, globalizzato. 

La competizione si annuncia dura. 

 
 
 
 
 
 
Sette per i poveri, nuovi culti per i ricchi 

La distribuzione Nord-Sud delle imprese religiose non cattoliche 

Per costruire la mappa qui sotto sono state prese in esame 174 imprese religiose attive in Italia, diverse dalla Chiesa cattolica. I Testimoni di Geova sono i più presenti su tutto il territorio nazionale, con una media di 29 insediamenti per un milione di abitanti. Seguono i pentecostali. Ma sia gli uni che gli altri, più gli avventisti, hanno i loro punti di forza nel Mezzogiorno. All’opposto di tutte le altre imprese religiose che invece trovano più seguito nel Centronord. Comprese quelle più in espansione come Scientology. 

La cartina mostra dunque un mercato religioso italiano a due facce. Nel Sud è ristretto a poche imprese concorrenti ed è più statico. Mentre nel Centronord è più affollato e competitivo. Anche la Chiesa cattolica riflette questa divisione. Nel Sud è poco attiva: registra alti tassi di appartenenza, attorno al 70 per cento, ma nello stesso tempo è povera di clero e di fedeli assidui. Nel Centronord, invece, è più vivace. In alcune regioni, come il Friuli e l’Emilia Romagna, è ormai minoranza: i suoi aderenti sono meno di un terzo della popolazione. In compenso conta più preti e i fedeli vanno di più a messa. 

La distribuzione geografica è diversa anche tra le sette e i culti. Nelle classificazioni degli specialisti le prime sono formazioni religiose nate per separazione da Chiese preesistenti, mentre i secondi sono formazioni di nuovo conio. Nella nostra mappa, più si scende a Sud e più trovano spazio avventisti, Testimoni di Geova, pentecostali, tutte sette di matrice cristiana, mentre i culti trovano più seguito al Nord. 

Osserva Maurizio Pisati, autore della ricerca: "Anche la classe sociale incide su questa diversa distribuzione. Nelle province a più basso reddito pro capite hanno successo le sette, mentre in quelle più ricche si affermano i nuovi culti. È una costante dell’economia religiosa che si trova in più paesi". 

Tra le 174 imprese religiose esaminate mancano alcune firme importanti: Islam, ebraismo, Soka Gakkai, New Age. Quest’ultima è troppo fluida per essere sottoposta a censimento. Anch’essa però ha la sua maggiore audience nel Centronord. E così le altre tre. La Soka Gakkai, nuovo culto buddista d’importazione giapponese, si espande soprattutto da Roma in su. L’ebraismo triangola fra Roma, Venezia e Torino. E l’Islam ha nel Nord i suoi picchi di pratica religiosa collettiva e di spinta missionaria. 

Una riprova che la competizione religiosa ha il suo epicentro nel Settentrione è data da ciò che accade dentro la Chiesa cattolica. Anche la Chiesa, infatti, mette sul mercato una gamma di sue offerte differenziate e tra loro concorrenziali, tutte con forte carica proselitistica: focolarini e Opus Dei, neocatecumenali e carismatici, fino al vescovo guaritore Emmanuel Milingo. Ebbene, quasi tutte queste sottoimprese cattoliche mietono i maggiori successi nel Centronord. I soli capaci d’insediarsi saldamente al Sud sono i carismatici. Che, puntualmente, tanto somigliano ai pentecostali, la più sudista delle sette extracattoliche. 

 
 
 
INDICE
 
 
 

Copyright © Allarme Scientology. L'utilizzo anche parziale dei materiali di questo sito - testi, traduzioni, grafica, immagini, digitalizzazione e impaginazione - con qualsiasi mezzo e su qualsiasi supporto, non è consentita senza il preventivo consenso scritto del gestore del sito. Per richieste e chiarimenti contattare: allarmescientology@email.it