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Scientology ha diritto agli sgravi fiscali

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Tratto da AziendaLex - Kataweb, ottobre 2001.

 

L'Associazione "Scientology" è considerata ormai da decenni una "chiesa", quindi può avere diritto agli sgravi fiscali. Lo ha stabilito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione accogliendo il ricorso dell'associazione, che nei primi due gradi di giudizio si era vista negare il diritto agli sgravi fiscali. La Terza Sezione Penale della Cassazione si era occupata già l'anno scorso della chiesa di Scientology, condannando l'associazione per evasione fiscale, in quanto aveva ritenuto che si trattasse di una "religione a pagamento", soggetta a tassazione ( sentenza n.2081/2000 della Terza Sezione Penale). La Sezione Tributaria della Suprema Corte ha invece attribuito alla chiesa Scientology di Milano il diritto agli sgravi fiscali di cui possono beneficiare le comunità religiose. (5 dicembre 2001)

 

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza n.12871/2001

(Presidente: M. Cantillo; Relatore: G. Paolini)

 
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Associazione Chiesa di Scientology di Milano, con atti prodotti a termini degli artt. 15 e ss. D.p.r. 26/10 1972 n. 636 il 20 gennaio 1989, impugnò dinanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Milano, all’epoca operante, due avvisi di accertamento, notificatile il 22 novembre 1988, con i quali l’Ufficio distrettuale II.DD. del capoluogo regionale lombardo, sulla base di un processo, verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza all’esito di una verifica fiscale di carattere generale e di indagini disposte dall’autorità giudiziaria nel quadro di un processo penale, aveva rideterminato, maggiorandoli rispetto a quelli dichiarati, i suoi redditi da assoggettare ad irpeg e ad ilor relativi agli anni 1982 e 1983, liquidando i tributi su tali redditi applicabili ed irrogando le sanzioni correlate.

La Commissione adita, con decisione n. 367/01/90, del 2 ottobre 1990, in parziale accoglimento delle impugnative, previamente riunite, ridimensionò gli accertati redditi assoggetandi ad irpeg in £ 4.082.582.460 per il 1982 ed il £ 6.646.916.501per il 1983 (ilor e relative addizionali di conseguenza), e dichiarò legittima la contestata applicazione di sanzioni.

Sull’appello della Associazione Chiesa di Scientology di Milano, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, cui la controversia era stata attribuita a mente dell’art. 72 D.lgs. 31/12/1992 n. 546, con sentenza resa, nel contraddittorio delle parti, il 17 giugno 1997, disatteso il gravame, confermò la pronuncia del primo giudice.

La Commissione Tributaria Regionale motivò l’adottata decisione, prima di tutto, evidenziando dover essere ravvisata infondata un’eccezione con la quale l’appellante aveva dedotto una nullità degli avvisi di accertamento in discussione, assunta, raccordabile al fatto che la Guardia di finanza aveva trasmesso le risultanze delle proprie indagini all’Amministrazione finanziaria, bensì su disposizione del giudice penale, ma prima che quest’ultimo facesse venir meno il segreto istruttorio mediante ordinanza di deposito degli atti: osservò , al riguardo, da un lato, che ai sensi dell’art. 39, comma 2, d.p.r. 29/9//1993 n. 600, l’Ufficio può procedere all’attività di accertamento sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, e, quindi, anche (di) quelle informazioni che provengono dalla Guardia di Finanza a diverso titolo; dall’altro, che l’utilizzo di tali (contestate) informazioni, da parte dell’Ufficio, non ha in alcun modo pregiudicato una puntuale e completa difesa da parte dell’appellante.

La Commissione anzidetta, in secondo luogo, con riferimento al merito della vertenza, considerò che, in contrasto con quanto sostenuto dall’ente appellante, e sulla scorta delle declaratorie risultanti da una sentenza della terza Sezione penale della Corte d’Appello di Milano, era da ritenere che alla Chiesa di Scientology non potesse competere la qualifica di associazione religiosa e, correlativamente, l’assoggettabilità al trattamento tributario speciale riservato alle associazioni di tal fatta dall’art. 29 d.p.r. 29/9/1973 n. 600, in ragione, non soltanto di quell’intenso interesse di natura strettamente commerciale riscontrato colto con assai evidenza nel suo modus operandi ma, anche perché, mentre per aversi associazione religiosa occorre quel quid pluris che qualifichi e giustifichi le operazioni economiche poste in essere e che deve essere ricercato proprio nella finalità di crescita spirituale degli associati e nella subordinazione a tale finalità, anche sul piano del metodo, di ogni azione di tipo economico, tutto ciò non si ritrova nel caso di specie, in cui l’intento speculativo risulta dominante e la finalità di lucro è prioritaria al punto tale che la consistenza e la quantità delle operazioni economiche poste in essere hanno sicuramente travalicato ogni altra supposta finalità, così acquisendo una tale rilevanza, preminenza ed autonomia tali da far ritenere anteposta ad ogni altro possibile progetto (anche spirituale o religioso) la finalità di lucro.

Il giudice d’appello, da ultimo, ribadì la correttezza del calcolo del quantum dei redditi in controversia operato dalla Commissione tributaria di primo grado nella pronuncia impugnata.

L’Associazione Chiesa di Scientology di Milano, ricorre, con tre motivi, per la cassazione della surrichiamata sentenza di secondo grado, non notificata.

Il Ministero delle finanze, nella ricevuta notificazione del ricorso, risalente al 14 settembre 1998, dopo essersi astenuto dal notificare e dal depositare controricorso, ha versato nell’incarto processuale un atto di costituzione datato 11 marzo 1999, chiedendo di partecipare alla discussione.

La ricorrente ha depositato memoria.

 
MOTIVI DELLA DECISIONE

La Associazione Chiesa di Scientology di Milano, con il primo mezzo di ricorso, accampa che la sentenza nei sensi illustrati resa sulla fattispecie dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia dovrebbe essere ravvisata passibile di cassazione siccome inficiata da violazione e falsa applicazione degli artt. 33, 35 e 39 d.p.r. 29/9/1973 n. 600 [1], (da) violazione dei principi relativi al segreto istruttorio e al segreto bancario, (nonché da) assoluta carenza di motivazione: premesso di aver sempre fatto presente che, ai sensi dell’art. 33 del d.p.r. 29/9/1973 n. 600, nel testo vigente nel 1988, la Guardia di Finanza non poteva trasmettere agli uffici delle imposte documenti, atti e notizie acquisiti nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, in violazione del segreto istruttorio e quindi sino a quando non fosse definita la fase delle indagini preliminari, e che, inoltre, il successivo art. 35 del medesimo d.p.r. n. 600/73 concede una deroga al segreto bancario solo previa autorizzazione del Presidente della Commissione Tributaria di I grado territorialmente competente, denuncia che, nel caso in esame, risultavano palesemente violate entrambe le citate disposizioni, e che, quindi, l’accertamento, basato esclusivamente su elementi illegalmente acquisiti, era viziato da assoluta nullità; lamenta, altresì, che la Commissione ha del tutto ignorato le eccezioni mosse, limitandosi ad osservare che ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.p.r. 29/9/1973 n. 600/73 concede una deroga al segreto bancario solo previa autorizzazione del Presidente della Commissione Tributaria di I grado territorialmente competente, denuncia che, nel caso in esame, risultavano palesemente violate entrambe le citate disposizioni, e che, quindi, l’accertamento, basato esclusivamente su elementi illegalmente acquisiti, era viziato da assoluta nullità; lamenta, altresì, che la Commissione ha del tutto ignorato le eccezioni mosse, limitandosi ad osservare che ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.p.r. 29/9/1973 n. 600, l’Ufficio può procedere all’attività di accertamento sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, senza considerare che l’illegittimità di un atto emesso in violazione del segreto istruttorio ovvero del segreto bancario non viene meno sol perché l’Ufficio ne è venuto indebitamente a conoscenza ovvero perché il contribuente ha potuto svolgere le sue difese avverso l’accertamento.

La censura non merita ingresso perché gli assunti ai quali l’associazione ricorrente l’ha correlata sono destituiti di fondamento.

I documenti e le altre informative acquisiti dalla Guardia di finanza nell’esercizio di attività di polizia giudiziaria, a mente dello art 33, comma 3, d.p.r. 29/9/1973 n. 600, nel testo stato in vigore nel 1988, operante nella fattispecie ratione temporis, per il quale la Guardia di finanza, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto istruttorio trasmette agli uffici delle imposte documenti, atti e notizie acquisiti… nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, ben possono essere utilizzati ai fini dell’accertamento tributario in presenza di autorizzazione al riguardo dell’autorità giudiziaria che di quegli elementi di prova abbia la disponibilità funzionale (cfr., in terminis, Cass. Sez. i civ., sent. n. 14585 del 27/12/1999).

Nella situazione in controversia, in cui, giusta quanto evidenziato in narrativa, sulla base di deduzioni prospettate dalla stessa ricorrente in sede di merito, è stato sempre pacifico che l’utilizzazione delle discusse emergenze, acquisite nel corso di indagini di polizia giudiziaria, ai fini dei contestati accertamenti è avvenuta previa rituale autorizzazione dei competenti organi giurisdizionali penali, è da escludere che la ricorrente medesima abbia titolo a dolersi giustificatamente di detta utilizzazione.

In tema di imposte sui redditi, l’art. 35 d,p,r. n. 600 del 1973, cit., abrogato, e, però, applicabile nella fattispecie ratione temporis, il quale, in deroga alla riservatezza prescritta agli istituti di credito sui rapporti con i clienti, conferiva agli uffici finanziari il potere di chiedere, e di ottenere, copia di conti correnti e relative notizie solo previa autorizzazione del Presidente della Commissione Tributaria di I grado, regolava ‘accesso al C.D. segreto bancario, ma non incideva sull’utilizzabilità da parte degli uffici suddetti dei dati già acquisiti, con superamento del segreto cennato, in esito a indagini di polizia giudiziaria: l’utilizzazione dei dati considerati, quindi, doveva essere ravvisata senz’altro legittima tutte le volte che, come nel caso esaminato, fosse risultata correlata ad autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente a norma del ricordato art. 33 d.p.r. 29/9/1973 n. 600 (cfr., in tal senso, Cass. Sez. i civ., sent. n. 2668 del 26/3/1996).

Anche la mancata osservanza del dettato dell’art. 35 di tale ultimo testo normativo, perciò si rivela insussistente.

Corollario delle osservazioni fin qui svolte è che il delibato motivo di gravame deve essere disatteso.

L’Associazione Chiesa di Scientology di Milano, con il secondo mezzo di ricorso, denuncia evidenziarsi nella contestata sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, lett c), e 20 II comma, del d.p.r. 29/9/1973 n. 598 e degli artt. 36 e 34 segg. del Codice Civile anche in relazione agli artt. 9, 19, e 20 della Carta Costituzionale, ed inoltre omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della lite prospettato dalla parte (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.).

L’associazione summenzionata, sulla premessa che la commissione anzidetta non ha mai sostenuto che la Chiesa di Scientology svolgesse un’attività commerciale diversa dalla cessione di libri e pubblicazioni ai propri associati o partecipanti, e, però, affermava che la Chiesa di Scientology deve ritenersi una associazione commerciale e non a carattere religioso, rilevando, al riguardo, che l’esistenza di uno statuto che prevede lo svolgimento di un’attività (non) commerciale non è sufficiente per poter concludere che l’attività svolta non rientra nell’ambito di applicazione dell’imposizione, dovendosi tener conto dell’attività effettivamente svolta; che le indagini condotte dalla Corte d’Appello di Milano (sezione III penale) in occasione della sentenza del 5 novembre 1993 hanno dimostrato che la caratteristica della Chiesa di Scientology è quella di una vera e propria impresa commerciale, che si adegua perfettamente alle regole del mercato cercando di vendere ad un pubblico sempre più ampio, per conseguire un profitto costituito da servizi (corsi in genere e sedute di auditing o di purificatio, nonché da pubblicazioni, e; doversi opinare che la Chiesa di Scientology non possa ritenersi un’associazione religiosa, non soltanto per quell’intenso interesse di natura strettamente commerciale che nella ricostruzione dei giudici della Corte d’Appello di Milano si coglie con assai evidenza, ma anche perché, per aversi associazione religiosa, occorre quel quid pluris che qualifichi e giustifichi le operazioni economiche poste in essere e che deve essere ricercato proprio nella finalità di crescita spirituale degli associati, deduce essere confliggente con la normativa come sopra accampata violata ed inadeguatamente motivata la declaratoria in tal guisa resa dal giudice del merito.

La ricorrente, per suffragare il così prospettato assunto, sostiene, innanzi tutto, che non pare condivisibile l’affermazione di partenza dell’impugnata sentenza, secondo cui non sarebbe sufficiente la previsione statutaria che l’attività che l’attività principale dell’Associazione non ha natura commerciale, per escludere che l’Associazione possa costituire un ente (non) commerciale, in quanto si dovrebbe tener conto dell’attività effettivamente svolta: a suo dire, infatti, lo statuto, nel caso anche atto costitutivo, disegna completamente la natura giuridica dell’ente collettivo, che con quell’atto viene ad esistenza e che dal qual momento in poi si pone come centro di riferimento di situazioni giuridiche attive e passive, ne detta lo scopo e ne indica i mezzi, atteggiandosi come l’Associazione dal punto di vista negoziale e come fonte di vera e propria obbligazione reciproca tra i partecipanti, impegnando questi a non esercitare una volontà difforme dalle previsioni statuarie, che, quando pure esercitata, resterebbe, comunque, insuscettibile di modificare la natura giuridica dell’Associazione, la sua identità ed i suoi scopi, con la conseguenza che se lo statuto qualifica una associazione come ente non commerciale con fine di religione, l’associazione resterà ente non commerciale quale che sia l’attività di fatto svolta da taluno degli associati.

L’ente ridetto puntualizza, sul tema, che agli effetti fiscali, il carattere prevalente delle norme statutarie trova espressa conferma nel citato art. 2 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 598, di poi trasfuso e confermato dall’art. 87 del d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917, alla stregua del quale, per ciò che concerne gli enti pubblici e privati diversi dalle società, l’oggetto esclusivo o principale dell’ente è determinato in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, e in mancanza in base all’attività effettivamente esercitata, e deve ritenersi, perciò, che l’attività effettivamente svolta può essere rilevante per qualificare un ente solo in mancanza di uno statuto redatto per atto pubblico, mentre, in presenza di un formale atto costitutivo regolarmente approvato, e qualificante l’Ente come non commerciale, tale qualifica non può (in nessun caso) venir meno, ferma ovviamente restando la possibilità per un ente non commerciale di svolgere attività di impresa o comunque commerciale, come del resto espressamente previsto dall’art. 20 del d.p.r. 29/9/1973 n. 598 o dall’art.111 del d.p.r. 22/12/1986 n. 917; soggiunge, quindi, che le disposizioni da ultimo citate prevedono entrambe che ci considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le prestazioni di servizi e le cessioni di beni ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori e diverse prestazioni alle quali danno diritto, e che, però, restano sottratte a tale disciplina le prestazioni effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni, religiose, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto, fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati alle rispettive organizzazioni nazionali.

L’Associazione Chiesa di Scientology di Milano, con un secondo ordine di asserzioni, adduce che, quand’anche potesse convalidarsi l’affermazione della Commissione Tributaria Regionale secondo cui, pur in presenza di uno statuto regolamentare redatto per atto pubblico, assume rilevanza l’attività in concreto svolta, nella specie le conclusioni non muterebbero, posto che l’attività svolta da essa deducente è stata sempre effettuata in conformità alle finalità istituzionali proprie di un’associazione religiosa: premesso che la commissione suddetta non ha contestato in alcun modo che la pretesa attività commerciale sia costituita da cessione di beni o prestazioni di servizi a favore di associati o partecipanti in conformità alle finalità religiose dell’ente, limitandosi ad affermare che, tuttavia, la consistenza e la quantità delle operazioni economiche poste in essere avrebbero assolutamente travalicato ogni altra supposta finalità, e dopo aver denunciato l’apoditticità della declaratoria resa in proposito dal giudice del merito, fa presente che Cass. Sez. II pen., sent. n. 5838 del 9/2/1995 e id., sent. n. 1329 del 22/10/1997, pronunciando su situazioni di fatto omologhe a quelle qui in discussione (e sanzionando l’annullamento della pronuncia della Corte distrettuale richiamata nella decisione impugnata), hanno enunciato principi alla stregua dei quali dovrebbe tenersi per indubitabile la riducibilità della Chiesa di Scientology nel novero degli organismi non commerciali con finalità di religione le cui entrate sono costituite da proventi o contributi corrisposti da associati o partecipanti a fronte di cessione di beni o prestazioni di servizi rese in conformità ai fini istituzionali e che quindi non sono imponibili agli effetti ed ai sensi del già citato art. 20 del d.p.r. n. 598/73.

L’associazione ricorrente, concludendo, evidenzia che la giustificazione delle operazioni economiche poste in essere da Scientology, ossia la compatibilità di tali operazioni con la natura di ente religioso di deducente, è stata posta in rilievo dai, non da ultimo citati, arresti di questa Corte Suprema, ove si sottolinea come il reperimento dei mezzi economici era indispensabile per il funzionamento dell’Associazione, e di fatto gli utili da questa conseguiti restavano a disposizione dell’Organizzazione e non venivano, ne erano destinati, ad essere distribuiti fra gli associati.

La, complessa, doglianza così prospettata, ad onta della non condivisibilità di taluno degli assunti nei quali si articola, è sostanzialmente meritevole di accoglimento nei termini di seguito precisati.

In proposito, soccorrono le seguenti osservazioni.

Si rivela inaccettabile la deduzione della ricorrente intesa a sostenere che la sua qualità di ente religioso e, derivatamente, di organismo legittimato ad avvalersi del regime fiscale di favore di cui al ripetuto art. 20 d.p.r. 29/9/1973 n. 598 dovrebbe essere ravvisata iuris et de iure sussistente e dichiarata, sulla base del solo dato che per tale essa si è autoqualificata nel proprio statuto consacrato in atto pubblico.

Al riguardo, ed a prescindere da qualsiasi altro, pur fattibile, rilievo, è sufficiente richiamare le enunciazioni di cui a Corte cost., sent. n. 467 del 19/11/1992, alla stregua delle quali vanno esclusi gli esiti irragionevoli di una incontrollabile autoqualificazione, meramente potestativa, delle associazioni che finirebbero per rendere queste arbitre della propria tassabilità.

Tanto premesso, peraltro, nel solco di Corte cost., sent. n. 195 del 27/4/1993, è da dire che la riconducibilità di una data organizzazione nel novero delle confessioni religiose, nella carenza fra l’organizzazione stessa e lo Stato di un’intesa a mente dell’art. 8, comma 3, della Costituzione (intesa che renderebbe giuridicamente incontestabile il carattere della religiosità), deve essere riscontrata, ed accertata, sulla base degli elementi ritraibili, oltre che dalla valutazione dello statuto (da avere per indiscutibilmente suscettibile di fornire emergenze presuntive al riguardo), dall’esistenza di precedenti riconoscimenti pubblici, e, infine, dalla comune considerazione.

Orbene, nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale risulta aver ancorato la declaratoria recante accertamento negativo della qualità di ente religioso dell’associazione ricorrente esclusivamente a rilievi (fra l’altro, come si dirà nella lettera seguente, neppure sufficientemente motivati) circa, asserite, caratteristiche fattuali dell’attività dell’associazione stessa concretamente svolta, trascurando completamente di verificare se detta qualità dovesse, o non, essere desunta dagli elementi cennati.

Il giudice di merito, di vero, ha innanzi tutto, completamente omesso di verificare se, ai fini della soluzione da dare al problema postogli, potesse, o dovesse, rilevare, o non, la circostanza, non contestata, che l’ente considerato risulta definito nel suo statuto Chiesa, termine solitamente usato per definirsi dagli enti sedicenti religiosi, nonché il dato che l’ente stesso abbia, indiscussamente, le sue radici nelle dottrine predicate negli anni cinquanta del secolo ventesimo da L. Ron Hubbard e si correli a quella Church of Scientology fondata dal menzionato Hubbard ed alla quale nel paese d’origine (S.U. d’A.) viene pacificamente riconosciuta la veste di movimento religioso.

La Commissione Tributaria Regionale, d'altro verso, ha trascurato di considerare la rilevanza processuale della riscontrabilità di un nutrito, ed ormai prevalente, orientamento giurisprudenziale, risultante no solo da numerose decisioni di giudici di merito (penali, civili e tributari), ma anche da pronunzie di sezioni penali di questa Corte Suprema (cfr., in proposito, Cass. Sez. II pen., sent. 9/2/1995, ric. Avanzini, id., sent. 8/10/1997, ric. Bandera), che afferma, o da per presupposta, la natura di organismi di carattere religioso delle associazioni, del genere di quella ricorrente, che si ispirano alle dottrine hubbanrdiane, le professano e le propagandano: ha omesso di valutare se da detto orientamento della giurisprudenza emerga un pubblico riconoscimento della religiosità del movimento di Scientology e degli organismi associativi ad esso correlati.

Il giudice del merito, ancora, non ha tenuto conto del dato che il movimento di cui trattasi e le comunità in cui esso si struttura, oltre ad essere considerati da decenni religiosi nel paese d’origine ed in altre nazioni di lingua inglese, sono stati per tali riconosciuti in altri paesi della Comunità europea (cfr. Ladesgericht Amburgo, provv. Del 5/1/1998).

Lo stesso giudice ha omesso, inoltre, di verificare se i membri dell’associazione ricorrente vivano come esperienza religiosa la loro partecipazione alla comunità, e se esista, o non, fra la generalità della gente e fra i cultori del diritto ecclesiastico una diffusa opinione circa la natura religiosa del movimento ridetto.

Nel contesto illustrato, la censurata declaratoria della inesistenza dei connotati della religiosità nella corporazione ricorrente si appalesa resa nella mancata verifica della sussistenza delle condizioni dell’ordinamento considerate suscettibili di legittimarla, e si rivela, per ciò solo, senz’altro, meritevole di cassazione.

Sotto un ulteriore aspetto, va evidenziato come l’affermazione del carattere esclusivamente speculativo e commerciale dell’attività in concreto svolta dall’ente ricorrente contenuta nella sentenza impugnata appare sostanzialmente apodittica, e, in ogni caso, non adeguatamente motivata, non avendo il giudice che quella sentenza ha reso chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di dover escludere che l’attività cennata, avuto riguardo al carattere religioso eventualmente attribuibile al suo autore, possa essere ravvisata integrante cessione di beni e prestazioni di servizi agli associati, fedeli, eseguite in conformità alle finalità istituzionali, di proselitismo e di pratica confessionale, dell’autore medesimo.

Corollario del complesso di considerazioni che precede è ,che, in accoglimento del delibato motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, e che la causa, per un rinnovato esame, da condursi nel rispetto delle surriportate enunciazioni, va rinnovata dinanzi ad una sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia diversa da quella che ha reso la pronuncia annullata, demandando al così designato giudice di rinvio il regolamento delle spese, anche, della presente fase processuale di legittimità (che dovrà essere correlato a quello che sarà l’esito finale complessivi della vertenza).

L’accoglimento del mezzo di gravame di cui al paragrafo precedente e la come sopra sancita cassazione della declaratoria della sentenza impugnata dallo stesso investita, a mente dell’art. 336, comma 1, cod. civ., travolgono le, dipendenti, statuizioni della sentenza anzidetta concernenti la determinazione dei redditi tassabili:

resta assorbito, consequenzialmente, l’esame del terzo, subordinato, motivo di ricorso, con il quale la Associazione Chiesa di Scientology di Milano censura le statuizioni in argomento, denunciandole inficiate da violazione dell’art. 7, I comma, del D.L.vo 321/12/1992 n. 546 e del combinato disposto degli artt. 1 del medesimo D.L.vo 546/92 e 112 c.p.c., (da pronuncia ultra petita e in base ad elementi non dedotti dalle parti, (nonché da) carenza di motivazione.

 
PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento e rinvia la causa, anche per il regolamento delle spese, dinanzi ad una sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia diversa da quella che ha reso la pronuncia cassata, così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, il 13 ottobre 2000.

Depositata in Cancelleria il 22 ottobre 2001.

Note:

1. Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 si intitola "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi". Gli articoli da 31 a 45 contengono norme sugli accertamenti e sui controlli fiscali.

 
 
 
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