In ottemperanza al provvedimento 08/05/2014 Garante per la protezione dei dati personali, si avvisa il lettore che questo sito potrebbe utilizzare cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche anonime. Proseguendo con la navigazione si accetta l'uso dei cookie.
Chiesto il rinvio a giudizio: la requisitoria del Pubblico Ministero (prima parte)

Tratto da: Il diritto ecclesiastico, 1988, Parte II, pagg. 590-614.

Ricerca, trascrizione e introduzione a cura di Floridi L.

 
Le indagini nei confronti della Chiesa di Scientology vennero svolte in tutte le sedi italiane dell'organizzazione e dei vari centri Narconon ad essa connessi. I vari filoni di indagine furono però riuniti per connessione ed il procedimento venne pertanto instaurato presso il Tribunale di Milano.

Dopo circa 5-6 anni di indagine, il 13.7.1988 il Pubblico Ministero Dott. Forno, presso il Tribunale Penale di Milano, formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di più di 70 adepti della Chiesa di Scientology d'Italia per svariati capi di accusa.

Il Giudice Istruttore decideva in conformità alla richiesta del P.M. e, con ordinanza del 3.10.1988, disponeva il rinvio a giudizio innanzi il Tribunale Penale di Milano dei circa 70 indagati per i reati di truffa, estorsione, circonvenzione di incapace, violenza privata, maltrattamenti e abbandono di minori, esercizio abusivo della professione medica, evasione fiscale ed associazione a delinquere.

Ciò che di seguito si riporta è la trascrizione della requisitoria del P.M. Dott. Forno, cioè l'atto con cui il Pubblico Ministero presentò al Giudice Istruttore la richiesta di rinvio a giudizio degli imputati.

Oltre a quanto già rilevato nella introduzione generale al Processo di Milano, bisogna evidenziare che nella requisitoria il P.M. affermava che il complesso e pesante quadro probatorio scaturito dalle indagini a carico dei membri della Chiesa di Scientology non veniva in linea di principio negato dagli imputati. Infatti, questi ultimi, piuttosto, si limitavano ad una diversa prospettazione dei fatti sotto il profilo della loro illiceità o di avere comunque agito in buona fede.

Il P.M. metteva altresì in evidenza l'assoluto conformismo comportamentale richiesto a tutti i membri dell'organizzazione, ai limiti della robottizzazione della persona umana e senza alcuna possibilità di dissociazione o critica che non passasse attraverso l'abbandono, spesso difficile, del gruppo. Metteva pertanto in rilievo che i metodi scorretti andavano fatti risalire ai vertici dell'organizzazione, controllori e garanti della "legalità interna", e che questi metodi avevano una connotazione che inglobava in sé elementi di natura truffaldina, circonventoria, non senza componenti di violenza psichica, il tutto accentuato da fattori di fanatismo e di suggestione collettiva.

Il P.M. sottolineava infine che fosse possibile ipotizzare che moltissime persone, anche fra quelle che durante l'inizio del procedimento penale facevano parte dell'organizzazione, fossero state vittime di reati dello stesso tipo di quelli contestati, ma che in assenza di denunce non si sarebbe potuto procedere oltre. Pertanto riteneva di affermare che le condotte oggetto di contestazione penale, lungi dal rappresentare un'eccezione rispetto ad un comportamento lecito, costituivano più che altro la "punta di iceberg" di una realtà molto più vasta, che presentava caratteristiche similari e, comunque, ispirata ad una logica di profitto e di esasperato mercantilismo più confacente ad una impresa commerciale che ad un ente che si arrogava fini umanitari.

Giova ricordare che le affermazioni del P.M. costituiscono una visione parziale di un organo deputato alla pubblica accusa (che nel caso in esame non sempre sono state condivise dai giudici) e che necessitano, in ogni procedimento penale, conferma e vaglio in sede dibattimentale. Ciò non esclude comunque l'importanza della ricostruzione personale dei fatti che il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Milano ha fatto di tutta la vicenda Scientology.

 
 
 
TRIBUNALE DI MILANO
- Procura della Repubblica -
13 luglio 1988

Pubblico Ministero Dott. Forno - Segalla ed altri imp.

Culti - Culti ammessi - Libertà di adesione garantita dall'ordinamento - Chiesa di Scientology - Qualificazione come «religione» - Rilevanza ai fini penali, insussistenza (artt. 17-21 Cost.).

Culto - Culti ammessi - Chiesa di Scientology - Centri Narconon ad essa collegati - Metodi di acquisizione degli aderenti - Illiceità - Vendita della felicità - Asserita cura di tossicodipendenti - Attività di agenti - Responsabilità degli agenti e dei vertici dell'organizzazione - Concorso di persone nei reati - sussistenza (art. 112 n. 1 e 3 C.P.P.).

Culto - Culti ammessi - Chiesa di Scientology - Centri Narconon ad essa collegati - L'organizzazione come oggetto della fede scientologica - L'organizzazione quale struttura totalitaria diretta al fine di conseguire profitti anche illeciti - associazione per delinquere - sussistenza (art. 416 C.P.).

Culto - Culti ammessi - Chiesa di Scientology - Centri Narconon ad essa collegati - Attività dell'organizzazione al fine di conseguire profitti - Violazioni tributarie - Esercizio abusivo della professione medica - Truffa - Truffa aggravata - Estorsione aggravata - Circonvenzione di persone incapaci - Sussistenza - Circostanze aggravanti comuni e speciali - Numero dei concorrenti nei reati - Determinazione al reato di persone soggette, di infermi o di deficienti - Riduzione della persona offesa in stato di incapacità di volere e agire - Stato di minorata difesa - Abuso di relazioni di prestazione d'opera - Sevizie - Aggravamento delle conseguenze del reato - Danno patrimoniale di Rilevante gravità (artt. 48, 61 n. 4, 5, 7 e 8, 112 n. 1, 2, 3 e 4, 348, 628, 3° comma n. 1 e 2, 629, 640, 1° e 2° comma n. 2, 643 C.P.).

 

 
Ai fini penali, è ininfluente stabilire se Scientology sia una religione o una teoria psicologica, perché l'ordinamento italiano garantisce l'adesione a qualsiasi fede e a qualsiasi pensiero, ma nei limiti previsti dalla Costituzione e dalle leggi penali; sicché ove i metodi di proselitismo usati dai rappresentanti e dagli agenti di Scientology consistano in fatti previsti dalla legge come reato, la responsabilità penale non può essere esclusa dalla qualifica religiosa. filosofica o psicologica attribuibile all'organizzazione (1).

I metodi di reclutamento degli aderenti a Scientology e il trattamento ad essi riservato consistono nell'imporre il rispetto di una precettistica minuziosa, esige un conformismo ai limiti della robottizzazione della persona umana, senza possibilità di dissociazione o di critica e nel rendere difficile l'abbandono del gruppo. Tali metodi hanno una connotazione mista, che comprende elementi di natura truffaldina o circonventoria, nonché di violenza psichica, accentuata da fattori di fanatismo e di suggestione collettiva; essi risalgono ai vertici dell'organizzazione (presidenti delle chiese di Scientology, direttori dei centri di Narconon, e loro vice), in quanto controllori e garanti della «legalità interna», i quali, perciò rispondono dei reati imputati agli agenti a titolo di concorso, per aver arrecato volontariamente un contributo causale determinante alla realizzazione dei reati, anche quando non siano venuti a diretto contatto con i proseliti (2).

Nella c.d. chiesa di Scientology, oggetto di fede non è un'entità personale o personificata trascendente, bensì è la stessa organizzazione, che, secondo la «fede scientologica», diventa una sorta di «ente supremo non trascendente», avente le caratteristiche, in piccolo, di uno stato assoluto, il quale impone ai sudditi una mistica patriottica, in cui tutto è dovuto per il potenziamento dell'organizzazione. Essa, perciò, consiste in una struttura, materiale e personale, il cui fine precipuo è quello di drenare denaro pubblico e privato con ogni possibile mezzo, lecito o illecito. Il carattere apparentemente disinteressato dei comportamenti dei singoli agenti non esclude il dolo, soprattutto di chi ricopra incarichi organizzativi, ai fini della sussistenza del reato di associazione per delinquere, diretta alla commissione di una serie indeterminata di reati-fine (3).

Nell'attività della c.d. chiesa di Scientology e dei centri Narconon, diretta a conseguire profitti, sono stati riscontrati vari reati, dalle violazioni delle norme tributarie, all'esercizio abusivo della professione medica, alla truffa semplice e aggravata - quest'ultima commessa in danno di UU.SS.LL., all'estromissione aggravata, alla circonvenzione di persone incapaci, reati aggravati dal numero dei concorrenti, dalla determinazione al reato di persone soggette o incapaci, dalla riduzione in stato di incapacità di volere o di agire della persona offesa, dal profittare delle situazioni di minorata difesa, dall'abuso di relazioni di prestazioni d'opera, agendo talora con sevizie, aggravando le conseguenze del reato e, infine, cagionando danni patrimoniali di rilevante gravità (4).

(Omissis)

All'esito dell'istruttoria formale fin qui svolta ed in particolare degli interrogatori degli imputati, in ordine alle contestazioni specifiche rivolte nei loro confronti, ritiene questo P.M, di poter formulare, almeno per la gran parte delle posizioni processuali, le proprie richieste definitive ai sensi dell'art. 369 c.p.p..

Come era già stato precisato in sede di formulazione dei capi di imputazione, gli elementi di responsabilità a carico degli imputati, con particolare riferimento agli esecutori materiali dei reati, sono stati ricavati dalle dichiarazioni delle parti lese nonché dagli accertamenti ad esse conseguenti. Tale quadro probatorio è risultato, sostanzialmente, confermato dagli interrogatori degli imputati, la cui linea difensiva, in genere, si è rivolta, non tanto alla negazione dei fatti storici emersi dalle denunce, quanto piuttosto alla diversa prospettazione dei fatti sotto il profilo della loro illiceità.

Date queste premesse si ritiene pertanto che, fatto salvo gli opportuni approfondimenti che potranno e dovranno essere effettuati in sede dibattimentale con riferimento ai singoli imputati e alle singole imputazioni, il quadro probatorio che si è venuto a delineare, ampiamente giustifichi una richiesta di rinvio a giudizio, salvo le puntualizzazioni che, in ordine ad alcune posizioni, verranno qui formulate.

(Omissis)

Nel ritenere sufficientemente provate, ai fini del loro rinvio a giudizio, le responsabilità degli imputati diversi da quelli per i quali si chiede il proscioglimento, si è, come già premesso, dato particolare rilievo alle dichiarazioni delle parti lese. Le ragioni di ciò sono da ricercarsi non solo nei numerosi riscontri obbiettivi che è stato possibile acquisire attraverso le indagini istruttorie, ma anche specialmente per quegli aspetti non riscontrabili né in via testimoniale né in via documentale, nel carattere monotonamente ripetitivo delle condotte criminose, descritte, in termini sostanzialmente sovrapponibili, da numerosi testi che, per le modalità, in cui hanno reso le loro dichiarazioni, non potevano sicuramente accordarsi in via preventiva sulla descrizione dei fatti.

L'attendibilità delle parti lese non viene sminuita dalle controaccuse loro rivolte dall'organizzazione; si tratta infatti di una tecnica anch'essa ripetitiva e rientrante nelle usuali modalità con cui, in esecuzione di esplicite direttive di L.R. Hubbard, l'organizzazione cerca di porre rimedio alle denunce presentate contro la stessa, all'evidente fine di intimorire i denuncianti che, per effetto di tali iniziative giudiziarie, vengono ad esser a loro volta inquisiti. La pretestuosità delle denunce che l'organizzazione ha presentato contro i propri accusatori, sian essi ex adepti ovvero persone del tutto estranee, si evince non solo dal fatto che esse hanno sempre il carattere di reazione a precedenti iniziative volte a evidenziare la scorrettezza, anche in termini penali, del loro operato, ma soprattutto in quanto si esauriscono in petizioni di principio circa le asserite finalità umanitarie dell'associazione e senza quindi fornire alcun elemento concreto di smentita delle altrui accuse.

Ciò vale in particolare per gli esposti in atti presentati:

  • da Ce.Al. nei confronti della Reader's Digest in data 10 settembre 1981;

  • da Se.Ga. nei confronti di M.E. in data 14 novembre 1985.

Pertanto, in ordine alle sopraindicate denunce, si chiede che il G.I. voglia dichiarare con decreto non doversi promuovere l'azione penale.

La responsabilità a titolo di concorso. - Per inquadrare correttamente il problema, centrale nel presente procedimento, della attribuibilità dei singoli episodi criminosi, ai responsabili locali dell'organizzazione (con riferimento sia alla chiesa di Scientology sia ai centri Narconon), è indispensabile premettere alcune considerazioni sull'organizzazione stessa.

Tutti i reati contestati ai capi da 1 a 39, a prescindere dalle diversità di qualificazione giuridica, presentano una sostanziale ripetitività di schema operativo che non può certo considerarsi un fatto casuale; risulta infatti dalle dichiarazioni di numerosi membri o ex-membri dell'organizzazione che in essa è sempre stato massimo il controllo sull'uniformità di impostazione ideologica impartita nonché dei comportamenti prescritti da una normativa minuziosa, trasmessa per via gerarchica e, in gran parte, attribuita al fondatore dell'organizzazione R.L. Hubbard.

Non è sicuramente questa la sede per prendere in esame il contenuto del pensiero di Hubbard e dei suoi discepoli, né le modalità con cui viene garantito il rispetto di una certa «ortodossia»; si tratta infatti di una problematica che, se può interessare da un punto di vista filosofico, sociologico, psicologico e politico, è assolutamente indifferente da un punto di vista processuale penalistico.

E' quindi del tutto fuori luogo affrontare il problema, peraltro di non facile soluzione, se Scientology sia o meno una religione, nel senso comune che al termine viene dato, piuttosto che una teoria psicologica, poiché in entrambi i casi la adesione ad essa è, nel nostro ordinamento costituzionale, tutelata dagli articoli da 17 a 21 Cost.; nel rispetto ovviamente dei limiti in tale norme posti, anche con il richiamo alla legislazione ordinaria vigente.

Diverso discorso va invece fatto per le attività di natura terapeutica, in senso lato, che risultano esser state praticate, in forma non sporadica dalle varie branche dell'organizzazione e che si sono indirizzate, in particolare, nei confronti di soggetti affetti da disturbi psicofisici: malati di mente, psicolabili, malati fisici con riflessi di ordine psicologico, tossicomani etc.; è ampiamente provato che tutte queste categorie di persone, che si sono avvicinate all'organizzazione per trovare una soluzione ai loro problemi e alle loro sofferenze, hanno, da un lato, ricevuto ampie garanzie di guarigione (per lo più nella formulazione, squisitamente commerciale, del «o soddisfatti o rimborsati»), dall'altro, hanno ricevuto un trattamento standardizzato, costituito da saune, somministrazione di vitamine e sedute psicoterapeutiche, il tutto costantemente ed insistentemente accompagnato da indottrinamento ideologico, considerato come parte ineliminabile della terapia ed inscindibili dalle altre modalità sopra menzionate.

Non sfugge come metodi siffatti, anche nei casi in cui le persone conseguono il risultato sperato, presentano costantemente caratteristiche di approssimazione e faciloneria, ai limiti dell'impostura, tanto più evidenti quanto più è difficile il caso da risolvere, e con violazione continua delle più elementari regole deontologiche e di etica professionale. Basti rammentare, a titolo meramente esemplificativo e richiamando, per il resto, la ricostruzione fatta nella parte comune a tutti i capi di imputazione:

  • l'uso di saune e vitamine come panacea di ogni male indipendentemente dalla natura dello stesso; si tratta di un uso magico e fideistico di metodi che, se di per sé, non dannosi, lo possono diventare quando se ne faccia abuso od uso gravemente improprio;

  • l'esercizio della psicoterapia (il cosiddetto «auditing») da parte di persone che non solo sono prive di alcuna preparazione specifica ma che, addirittura, in vari casi, risultano esse stesse, disturbate, in vario modo, psichicamente e che hanno trovato una illusoria soluzione dei loro disturbi atteggiandosi a guaritori di quelli altrui;

  • analogo metodo usato nel campo del recupero dei tossicomani, affidato a soggetti non solo privi di qualsiasi qualificazione in tal campo ma, spesso, ancora dediti all'uso di sostanze stupefacenti e distinguibili dal comune tossicomane «di strada», dagli elevati sensi di colpa martellantemente instillatigli e che, a sua volta, è tenuto a trasmettere diligentemente ad altri malcapitati;

  • la garanzia dell'assoluta certezza della guarigione o recupero, sottacendo ai pazienti limiti e difficoltà a cui vanno incontro anche metodi più affidabili; in questa aura miracolistica il citato slogan commerciale garantente il rimborso in caso di insoddisfazione, non solo è intrinsecamente truffaldino (in quanto, in pratica, il rimborso, resta per il deluso una chimera), ma appare più un modo per rafforzare la certezza del successo che non per metterla in dubbio;

  • l'uso spregiudicato di pressioni sul soggetto in terapia al fine di prolungare la stessa, in un quadro di suggestione collettiva e di coinvolgimento emotivo tali da far sentire la sua interruzione o, peggio ancora, l'abbandono del gruppo, come possibile causa di ogni genere di mali, secondo meccanismi psicologici non lontani da certe forme di magia nera;

  • la prosecuzione delle sedute terapeutiche in forma ininterrotta, anche al di là dei ragionevoli limiti di resistenza individuale ed anche di fronte ad evidenti stati di prostrazione dei pazienti; a tal proposito la giustificazione che viene spesso data di tali atteggiamenti, e cioè che essi sono finalizzati a vincere delle «restimolazioni», non fa che dare la misura della pericolosità di strumenti delicati nelle mani di persone impreparate;

  • il mantenimento deliberato dei tossicodipendenti, malgrado gli elevati esborsi di denaro da parte dei loro famigliari, in condizioni igienico-ambientali degradate; appare chiaro in tutto ciò come la costituzione della rete dei Narconon sia stata, ancora una volta, dettata da motivazioni prevalentemente economiche che nulla hanno a che vedere con i tossicomani, come si può facilmente ricavare dal contenuto di numerose telefonate intercettate, già ampiamente citate e commentate dal G.I. nella motivazione del provvedimento restrittivo.

I metodi, ora descritti, ed altri similari da essi derivanti, non costituiscono casi di devianza individuale da parte di qualche sprovveduto adepto, non ben edotto delle regole e delle finalità del gruppo; al contrario l'amplissimo materiale testimoniale raccolto in anni di indagini da parte di autorità, giudiziarie e di polizia giudiziaria, diverse ed in località diverse, dimostrano senza timore di smentita, che i metodi predetti rappresentano la normalità dei casi e che pertanto appare corretto ricavare da essi la «regola» effettivamente operante nel gruppo e, come tale, predicata e resa obbligatoria per i suoi membri.

Ancor più importante che l'«ortodossia» per ogni appartenente al gruppo l'«ortoprassi» e cioè il rispetto minuzioso di una precettistica minuziosa, che abbraccia tanto la vita privata quanto l'operato all'interno dell'organizzazione, e che quindi viene anche a toccare, per l'aspetto che ci interessa, le modalità di esecuzione dei procedimenti terapeutici, i metodi di lavoro, i rapporti fra i vari membri, le misure sanzionatorie nei confronti di trasgressori etc..

Se assoluto è il conformismo comportamentale richiesto a tutti i membri, ai limiti della robottizzazione della persona umana e senza alcuna possibilità di dissociazione o critica che non passino attraverso l'abbandono, spesso difficile, del gruppo appare evidente che i metodi scorretti nell'approccio terapeutico van fatti risalire ai vertici dell'organizzazione, controllori e garanti della «legalità interna». Questi metodi, come si può evincere dalla lettura della parte comune ai vari capi di imputazione, hanno una connotazione mista, che ingloba in sé elementi di natura truffaldina, circonventoria, non senza componenti di violenza psichica, il tutto accentuato da fattori di fanatismo e di suggestione collettiva.

Non deve trarre, a questo proposito, in inganno il fatto che, nell'arco di diversi anni di indagini su tutto il territorio nazionale, questo ufficio abbia individuato solo una quarantina di episodi criminosi, fatto questo che ad un osservatore frettoloso potrebbe far credere che si tratti di eccezioni e, come tali, attribuibili esclusivamente ai loro autori materiali. In realtà tale selezione non deriva, se non in misura marginale, dal comportamento degli esecutori materiali, bensì da situazioni oggettive che trasformano le condotte scorrette da un punto di vista deontologico in illecito penale:

  • innanzi tutto la natura delle parti lese, determinante soprattutto nelle ipotesi di circonvenzione di incapaci e di estorsione. Le perizie psichiatriche hanno infatti accertato che varie persone, fra coloro che sono stati sottoposti ai noti trattamenti, erano affette da malattia mentale o quanto meno versavano in stato di deficienza psichica; tale stato di deficienza psichica è riscontrabile, sulla base del materiale testimoniale e documentale raccolto, anche in altri casi in cui più accentuato è il divario fra la capacità suggestiva del terapeuta e la fragilità della vittima. La circonvenzione viene poi assorbita dalla più grave ipotesi di estorsione nei casi in cui alla subdola captazione del consenso si perviene attraverso pressioni la cui valenza minatoria deriva dalla particolare fragilità del soggetto e, di conseguenza, dagli effetti devastanti che su di lui esercita il «gioco di squadra» degli improvvisati terapeuti.

  • anche nelle ipotesi truffaldine risulta determinante non tanto la peculiarità degli esecutori materiali quanto l'atteggiamento delle vittime.

In alcuni casi infatti i metodi di marketing selvaggio, di chi vuole e deve vendere il proprio prodotto indipendentemente dall'idoneità a soddisfare le esigenze dell'acquirente, non si limitano alle classiche esagerazioni delle qualità merceologiche del prodotto ovvero alla creazione di bisogni indotti, che fanno apparire allo sprovveduto consumatore necessario il potenziamento e lo sviluppo della propria mente, quanto un nuovo additivo per motori a benzina. Se l'ingenuità e la «semplicitas» non sono conseguenza di situazioni patologiche o di disturbi della personalità, l'approfittarsene con metodi spregiudicati, per quanto moralmente censurabile, non integra gli estremi di reato; è per questo motivo che viene chiesto al G.I. decreto di non promuovimento dell'azione penale per le numerose denunce presentate da acquirenti insoddisfatti del prodotto, quando questi hanno avuto, almeno da un punto di vista astratto, la possibilità di determinarsi liberamente e volontariamente all'acquisto dello stesso; d'altra parte, è un fatto assodato, né vi è bisogno che l'organizzazione si agiti per dimostrarlo, che ai numerosi insoddisfatti si contrappongono altrettanti soddisfatti del prodotto, ai quali non può esser disconosciuto di aver tratto un qualche beneficio dai trattamenti ricevuti, anche se non sempre è facilmente distinguibile il beneficio effettivo dall'illusione di averlo ricevuto, quando ad uno stato di malessere psicologico subentra l'entusiasmo adolescenziale, ed il gruppo surroga, con ruolo di tipo «paterno», il bisogno individuale di sicurezza.

Riprendendo l'analisi del quid pluris che determina la rilevanza penale delle condotte, in tema di truffa, assume una sua configurazione autonoma il nutrito gruppo di episodi accaduti nell'ambito dei Narconon, in danno di familiari di tossicodipendenti.

A differenza dell'attività di Scientology che vende, a caro prezzo, quel bene raro e prezioso che è la felicità, il benessere psicofisico o, per usare il loro linguaggio esoterico, lo stato «clear», i Narconon offrono una configurazione truffaldina di tipo molto più classico con espedienti, artifici e raggiri che nulla hanno a che vedere con il dolus bonus del mercante insaziabile.

Tale configurazione è tanto più penalmente rilevante e tanto più grave in quanto le vittime sono i familiari dei tossicodipendenti, persone che, per quanto psichicamente normalissime, sono più facilmente esposte a cadere in errore sulla bontà dei metodi di recupero dei loro congiunti, a causa del loro disperato bisogno di trovare una soluzione ai loro problemi. Anche al di fuori dell'attività dei Narconon, intrinsecamente truffaldina e su cui si avrà occasione di tornare, le condotte illecite dell'organizzazione assumono rilevanza penale, in altri casi, del tutto analoghi, in cui il «recupero» del tossicodipendente viene seguito direttamente dai centri di Scientology con metodi non dissimili (vedasi casi delle parti lese M.P., G.M., B.M., DiM.G., B.E., C.R.).

Analoga considerazione vale anche per situazioni in cui genitori disperati per le condizioni mentali dei loro figli si sono rivolti a centri di Scientology per farli curare, allettati dalle rosee prospettive loro delineate e condizionati dalla penosa situazione familiare (vedasi casi delle parti lese DeF.D. e M.D.).

Un'ulteriore circostanza che ha influito in modo determinante nella delimitazione dei casi per i quali è stata esercitata l'azione penale è di natura squisitamente probatoria; per quanto sia possibile, in via astratta, ipotizzare che moltissime persone, anche fra quelle che fanno tuttora parte dell'organizzazione, siano state vittime di reati dello stesso tipo di quelli contestati, in assenza di denunce o comunque di dichiarazioni accusatorie, da parte loro o dei loro congiunti, non può essere apoditticamente affermata la sussistenza di reati in loro danno.

D'altronde molti possono essere i motivi, soggettivamente plausibili, che hanno indotto ed inducono le persone a non presentare denuncia: la paura che le larvate minacce si attuino; il senso di solitudine che molte delle vittime provano quando, rinnegato il gruppo «padre», vengono assalite dai sensi di colpa che questo ha provveduto ad instillare in loro; la mancanza di punti di riferimento in famiglie normali capaci di aiutare anziché « maneggiare » le persone; l'euforia di apparenti miglioramenti, enfatizzati dall'autosuggestione di massa; il timore dell'umiliazione che la denuncia comporta, specialmente quando si deve riconoscere di esser stati circonvenuti, con l'ulteriore disagio di dover rivelare agli inquirenti drammatiche vicende personali e familiari. Da questo breve e sommario elenco si può comunque comprendere che solo una minima parte dei casi verificatisi sono passati al vaglio dell'autorità giudiziaria, anche se questo Ufficio, a differenza dell'organizzazione, non si azzarda ad abbozzare statistiche o a tracciare bilanci. E' certo, in ogni caso, che, qualunque sia la percentuale dalle vittime silenti, la loro esistenza emerge spesso dalle testimonianze di chi ha parlato e si sente, talora, impotente a fornire un contributo più incisivo, quale potrebbe dare unicamente il diretto interessato.

Un'altra categoria di casi che non hanno formato oggetto di contestazione, non certo perché si siano ritenute lecite le condotte dei membri dell'organizzazione, concerne le ipotesi truffaldine (specialmente con riferimento ai centri Narconon) anteriori all'8 giugno 1986, termine di efficacia dell'amnistia concessa con il D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865, e non aggravate ai sensi dell'art. 61 n. 7 c.p. (danno patrimoniale di rilevante gravità).

Ricapitolando le considerazioni che precedono, si può dunque affermare che le condotte oggetto di contestazione penale, lungi dal rappresentare un'eccezione rispetto ad un comportamento lecito, costituiscono la «punta di iceberg» di una realtà molto più vasta, presentante caratteristiche similari e, comunque, ispirata ad una logica di profitto e di esasperato mercantilismo più confacente ad una impresa commerciale che ad un ente che si arroga fini umanitari.

Conseguenza di questa impostazione è che i comportamenti illeciti posti in essere dai vari operatori dei centri di Scientology e dei Narconon, rientrano perfettamente in uno schema previsto e voluto dai vertici dell'organizzazione, che dovranno pertanto risponderne a titolo di concorso, a prescindere dai casi in cui essi abbiano pure avuto una parte attiva nelle singole vicende. Si intende, in altre parole, affermare che i dirigenti dell'organizzazione erano perfettamente a conoscenza che i metodi da essi inculcati nei loro sottoposti non potevano non portare alla commissione di reati contro la persona ed il patrimonio, quando concorressero determinate situazioni di fatto anch'esse ampiamente rientranti nell'alveo della prevedibilità. Come ha affermato esattamente il Tribunale della Libertà nel rigettare alcune richieste di riesame dei mandati di cattura del G.I., il coinvolgimento dei dirigenti della organizzazione va misurato sulla base di alcuni parametri costituiti:

  • dall'effettiva destinazione dei proventi finanziari delle attività dell'organizzazione;

  • dalla misura di partecipazione nel quotidiano all'opera di proselitismo.

Sotto il primo punto di vista appare di centrale importanza la posizione di tutti coloro che, in qualità di presidenti delle varie sedi di Scientology o di responsabili dei centri Narconon, hanno avuto diretta disponibilità delle somme costituenti il profitto delle singole ipotesi criminose; poco importa che essi non abbiano avuto contatto diretto con le vittime se hanno potuto entrare in possesso del risultato ultimo dell'attività su di esse svolte, il loro denaro, spesso tutto quello che era stato risparmiato da esse e dalle loro famiglie. Sia nei centri di Scientology che in quelli Narconon i dirigenti locali non avevano difficoltà a rendersi conto che gran pare delle risorse drenate ai privati non erano certo destinate né ad esse e nemmeno a sostegno delle iniziative locali per poter migliorare il servizio terapeutico; per quanto concerne i centri Narconon, in particolare, vi è in atti ampia traccia che essi venivano considerati il polmone finanziario dell'intera organizzazione, proprio grazie all'entità delle «donazioni» imperiosamente richieste come condizione per l'inizio dei trattamenti di recupero. Tutto ciò comporta necessariamente che i dirigenti sappiano fin da principio che il singolo adepto non è che un mezzo per conseguire un fine che prescinde dal raggiungimento, da parte sua, del benessere psicofisico, fine che, in ultima analisi, è costituito dal potere e dal prestigio, anche sul piano internazionale, dell'organizzazione.

I dirigenti non potevano quindi ignorare che i cospicui versamenti di molti, specie di coloro maggiormente compromessi sul piano psichico e comportamentale, erano destinati anziché a risolvere i loro problemi, a provare vieppiù il loro fallimento nella società. Per non menzionare vari casi, di cui vi è traccia in rapporti di P.G. ed in deposizioni testimonia!i, in cui i membri dell'organizzazione venivano utilizzati per trasportare parte degli utili all'estero, in Danimarca e negli U.S.A. ove avevano sede, a livello europeo e a livello internazionale, i vertici dell'organizzazione stessa.

Un ulteriore aspetto del coinvolgimento dei dirigenti locali dell'organizzazione è costituito dal fatto che essi provvedevano a presentare la dichiarazione annuale dei redditi, assumendosi in tal modo, come enunciato al capo 40 di imputazione, la responsabilità, di fronte allo Stato, della tenuta della contabilità e quindi della correttezza amministrativa. Coloro che, in virtù eli tale ruolo, erano in grado di conoscere l'entità degli utili e la loro destinazione, non potevano ignorare la provenienza degli stessi ed il fatto che, secondo un metodo costantemente ricorrente, venivano frapposte insormontabili difficoltà a tutti coloro che si azzardavano di richiedere la restituzione delle somme versate.

Come dettagliatamente enunciato nei capi di imputazione, uno dei metodi fondamentali per scoraggiare i richiedenti era costituito dal far loro presente che era cambiato il responsabile a cui indirizzare la richiesta di rimborso. Si capisce quindi come tutti i responsabili locali finora individuati, con riferimento ai vari capi di imputazione, abbiano sempre ricoperto per breve o brevissimo tempo la loro carica. Questa brevità era infatti peculiare della loro funzione, quella di sottrarsi alle pretese dei singoli e quindi di consentire il perfezionamento delle condotte illecite da altri posti in essere. È, a questo proposito, significativo che, anche in sede di istruttoria, tutti coloro che rispondono dei reati a titolo di concorso morale abbiano respinto gli addebiti non solo negando la diretta conoscenza delle parti lese, ma addirittura escludendo di esser mai stati competenti ad occuparsene. In tal modo «essi, volontariamente o involontariamente che sia, ripropongono, in sede processuale, lo stesso tipo di situazione che ha gettato nello sconforto più di un ex adepto; quello di nascondersi dietro mille sigle di uffici, cariche, ripartizioni, formulate in un linguaggio criptico, senza alcuna possibilità, per il singolo, di identificare le persone e gli uffici e - ciò che è più importante ai fini pratici - di sapere chi fosse veramente incaricato di controllare l'operato degli «staff ».

Non può certo escludersi che, da un punto di vista organizzativo interno, molti altri soggetti diversi da quelli che l'inchiesta ha identificato abbiano avuto responsabilità di varia natura nella commissione dei reati; è anzi certo che l'inchiesta è giunta all'identificazione solo di una parte dei responsabili delle condotte criminose, in ordine sia ai loro esecutori che ai loro mandanti. È peraltro fuori discussione che tutte le persone che sono state identificate come dirigenti, a livello locale, dell'organizzazione, hanno fornito attraverso la loro carica una totale copertura delle attività illecita, e quindi hanno costituito un elemento insostituibile per la loro perpetrazione.

A tal proposito è di estrema importanza quanto rilevato dal G.I. nella motivazione del mandato di cattura, secondo cui la precarietà dei ruoli direttivi a tal punto è la regola, in funzione di copertura di eventuali illeciti, che venivano talora fatti firmare in bianco dei fogli in seguito, all'occorrenza, completati con dichiarazioni di dimissioni, secondo quanto riferito da un testimone americano. Anche questa circostanza, che appare difficilmente dissociabile da finalità illecite perseguite sistematicamente dall'organizzazione, consente di affermare che i responsabili della stessa, fin dal primo momento in cui assumevano una carica, erano consapevoli che l'estrema difficoltà, da parte dei terzi, di identificarli e di trovare quindi un interlocutore realmente «responsabile», costituiva una condicio sine qua non perché le condotte criminose a sfondo patrimoniale potessero venire consumate e, aspetto non indifferente, le parti lese venissero scoraggiate dall'intraprendere iniziative apparentemente destinate all'insuccesso.

Un ulteriore elemento di responsabilità è costituito dal fatto che, come è stato rilevato da numerose parti lese, gli esecutori materiali dei reati erano persone in genere addette ai settori del proselitismo che venivano, a loro volta, avvicendate nei contatti personali con ritmo giustamente definiti dal G.I. «frenetici», tanto da ripercuotersi negativamente sull'efficacia dei corsi e delle sedute terapeutiche che essi seguivano.

Orbene, di tali avvicendamenti, non è dato trovare traccia nella documentazione delle singole sedi, documentazione che avrebbe dovuto essere rilevante ai fini fiscali in quanto individuante le attività produttive di reddito dell'organizzazione: il fatto che i legali rappresentanti della stessa abbiano consentito che un sistema di questo genere continuasse a funzionare dimostra che essi erano a conoscenza dell'avvicendarsi dei terapeuti intorno ai singoli pazienti e, conseguentemente, del pregiudizio che ciò poteva arrecare ai risultati della terapia.

D'altro canto tali responsabili, operando nelle sedi, avevano conoscenza diretta dei terapeuti e potevano, meglio di chiunque altro, valutare il loro livello di preparazione specifica e la loro idoneità ad occuparsi del «caso». In altre parole avevano quotidianamente sotto gli occhi situazioni di persone psicolabili affidate, sotto la loro vigilanza, ad altri soggetti che, nella migliore delle ipotesi, erano impreparati e, nella peggiore, erano essi stessi psicolabili. È pacifico che nessuno di essi abbia mai mosso un dito per modificare, dall'interno, attraverso la critica costruttiva, il dibattito e, al limite, anche la presa di posizione dura, un siffatto modo di procedere; tutti i dirigenti individuati nel presente procedimento risultano aver supinamente accettato le prassi terapeutiche i cui lauti proventi davano lustro al loro operato e a quello dei loro diretti collaboratori; in una logica dominata dalla produttività non stupisce che anche dirigenti e quadri intermedi riuscissero a farsi apprezzare più per la quantità che per la qualità del loro lavoro.

Come esattamente rilevato dal G.I. tutti i dirigenti che si sono avvicendati nel ricoprire cariche direttive di primo piano nell'organizzazione, hanno anche avuto la contestuale titolarità dei conti correnti bancari su cui affluivano gli introiti dell'organizzazione, venendo così a detenere una leva di comando tanto più significativa quanto più era sentita nell'organizzazione l'importanza del fattore economico. Non si dimentichi infatti che attraverso di essi dovevano necessariamente passare tutte le operazioni economiche effettuate in nome e per conto dell'organizzazione, sia quelle con cui venivano accreditate le somme incassate dalle parti lese, sia quelle con cui venivano variamente utilizzate tali somme, anche nei casi in cui esse avrebbero dovuto esser restituite agli aventi diritto. Facendo parte le mancate restituzioni delle costanti modalità fraudolente dell'operato dell'organizzazione, appare evidente che, almeno per questo aspetto, la responsabilità dei dirigenti ha un rilievo ben superiore a quello del mero concorso morale.

Un discorso a parte merita invece la responsabilità degli amministratori dell'organizzazione con riferimento alle violazioni di natura finanziaria, violazioni che, apparendo strettamente correlate all'esercizio dell'attività sociale, ricadono direttamente su tali soggetti quali titolari di obbligazioni di natura civilistica, come si avrà modo di esaminare in prosieguo.

Alla luce delle considerazioni che precedono è lecito affermare che la responsabilità penale dei dirigenti dei centri di Scientology e Narconon, lungi dall'essere una responsabilità obiettiva o a titolo di colpa (come nel caso dei direttori responsabili di pubblicazioni periodiche, ex art. 57 c.p.), discenda dall'applicazione dei principi generali del concorso di persone nelle ipotesi di reato doloso e che consista nell'aver volontariamente e - potremmo aggiungere - anche premeditatamente arrecato un contributo causale, per di più di determinante importanza, alla realizzazione del reato. Ciò vale innanzi tutto per i presidenti delle chiese di Scientology e per i direttori dei centri Narconon in cui si sono verificati i fatti denunciati; anche se in misura minore, va altresì ritenuto il concorso dei vicepresidenti delle stesse organizzazioni, sul presupposto che tali persone, per quanto non fossero i legali rappresentanti delle organizzazioni, potevano comunque divenirlo in caso di impedimento di questi e quindi non potevano non essere a conoscenza, in termini sostanziali, dei meccanismi attraverso cui avvenivano gli esborsi di denaro ciò a prescindere dal fatto che, in molti casi le stesse persone hanno ricoperto in tempi diversi, l'incarico di vicepresidente e di presidente di centri, a riprova quindi che tali incarichi erano appannaggio di una cerchia ristretta di «addetti ai lavori».

Non sfugge a questo ufficio il fatto che il circoscrivere la responsabilità ai legali rappresentanti delle organizzazioni coinvolte potrebbe, in taluni casi, apparire una eccessiva semplificazione di una realtà complessa in cui entrano, da un lato, persone facenti parte delle organizzazioni locali e che sono state talora indicate dagli operatori come loro diretti superiori (ad esempio i c.d. «supervisori del caso»), dall'altro, coloro che, svolgendo attività di natura organizzativa a livello nazionale o internazionale hanno ricoperto ruoli di prim'ordine e quindi hanno detenuto potere effettivo superiore a quello degli attuali imputati.

Quanto al primo punto non si può che richiamare le precedenti osservazioni in merito alla strategia posta in essere da tutti i membri dell'organizzazione e consistente in una sorta di «balletto» delle responsabilità, finalizzato a disorientare colui che si azzardi avanzare pretese restitutorie o risarcitorie; d'altro canto, l'asserita responsabilità dell'«ufficio competente» non può, in concreto, essere mai affermata con certezza, in mancanza di elementi per identificare gli appartenenti a detto ufficio e le loro competenze, come rimarcato in vari rapporti redatti dagli organi di P.G. che hanno invano tentato di acquisire gli organigrammi interni delle singole sedi.

Quanto al secondo aspetto e, senza voler con ciò, escludere possibili sviluppi dell'inchiesta, non pare che, al di là di responsabilità sul piano della deontologia interna, si possa, allo stato, ricollegare i fatti accaduti nell'ambito delle singole sedi agli organizzatori nazionali od internazionali; rinviando la trattazione della tematica a quanto si dirà in tema di reato associativo si può, fin d'ora, affermare che, in virtù dei criteri rigorosi a cui la dottrina e la giurisprudenza ancorano la riconducibilità delle condotte di reato ai concorrenti morali, occorrerebbe la prova, caso per caso, che tali soggetti che, a differenza dei responsabili periferici, non hanno contatto né con i terapeuti, né con le parti lese, né con le somme da esse versate, siano a conoscenza delle modalità penalmente illecite delle condotte poste in essere; certo si potrebbe, almeno in alcuni casi, ritenere che lo slittamento nell'area dell'illecito penale sia stato determinato dall'istigazione di «cattivi maestri»; dal momento peraltro che costoro hanno esplicato la loro influenza più in enunciazioni teoriche che in risoluzioni operative, resta sempre un certo distacco fra queste e quelle, distacco nel quale assume invece un peso determinante la prassi operativa dei singoli gruppi locali e dei singoli operatori.

Sempre in tema di responsabilità degli organizzatori occorre precisare la natura dell'elemento soggettivo della loro condotta antigiuridica, sia di natura omissiva che commissiva. Si è già detto come il contesto generale della «ortoprassi» nel settore terapeutico, presenti un impasto di elementi comuni ai reati di truffa, circonvenzione ed estorsione e che il passaggio da questo all'ipotesi criminosa specifica avvenga in virtù di scelte operative che solo il terapeuta è in grado di effettuare. Di fronte ad un imperativo categorico di raggiungere, ad ogni costo, il risultato economico, non appare certo importante per i responsabili locali la scelta del mezzo attraverso cui conseguirlo, specie quando gli operatori sono sufficientemente capaci di cogliere e sfruttare i punti deboli delle vittime; e discenda pertanto che l'elemento soggettivo se, per gli esecutori materiali, è connotato dalla specificità delle condotte da essi poste in essere, per quanto concerne i mandanti e concorrenti morali assume le caratteristiche del c.d. dolo alternativo, tale cioè da contenere in sé la rappresentazione e la volizione delle diverse fattispecie criminose astrattamente ipotizzabili.

Il reato associativo. - Quanto è stato detto in tema di responsabilità penale degli organizzatori dell'associazione ha stretta attinenza non solo con le specifiche ipotesi di reato, ma anche con la fattispecie associativa, che è stata a tutti contestata. Le premesse logiche sono le stesse: la commissione di una nutrita e, potenzialmente, illimitata serie di reati, adottando una tecnica standardizzata che comporta minime varianti, determinate dalla situazione contingente, tecnica standardizzata che è resa possibile da un apparato organizzativo imponente e capillare, tale da consentire, come si è visto, un continuo avvicendamento di soggetti con incarichi diversi. È sufficiente, a tal proposito, ripercorrere i vari capi di imputazione per evidenziare il peso determinante che ha il «gioco di squadra» nella commissione dei reati e che si manifesta, in modo particolare:

  • nella pluralità di soggetti addetti all'opera di proselitismo, condotta con spregiudicatezza di metodi e con tecniche sostanzialmente mutuate dalle regole del marketing;

  • nella pluralità di soggetti addetti alle pratiche terapeutiche e alla tenuta dei corsi di formazione, questi ultimi fondamentali nella creazione di una particolare psicologia, totalmente succube di chi parla con «autorità» (e la legittimazione dell'autorità non può discendere che dalla organizzazione), nonchè nella formazione di un linguaggio esoterico e criptico, la cui principale caratteristica è quella di estraniare l'individuo dal suo contesto socio-familiare, rendendo per lui necessaria la scelta dei pochi in grado di capirlo;

  • nell'esistenza di uffici amministrativi, addetti all'incameramento delle somme ricevute, per vari motivi, dagli adepti e fatte risultare, surrettiziamente, come donazioni;

  • nella predisposizione di strutture adibite ai vari trattamenti terapeutici e alla somministrazione di prodotti medicinali;

  • nell'organizzazione di archivi in cui viene raccolto il materiale documentale inerente alla posizione dei singoli adepti, con particolare riferimento ai c.d. «folders» contenenti le confessioni e gli appunti scritti redatti dai terapeuti durante le sedute e poi trasmessi ad un ufficio investigativo dell'organizzazione il c.d. G.O. (Guardian Office). Analoghe considerazioni valgono, a fortiori, per i centri Narconon, in cui elementi strutturali analoghi risultano inseriti in una più complessa organizzazione, idonea a fornire vitto ed alloggio a decine di tossicomani. Senza quindi addentrarsi nella selva di ripartizioni, uffici, sigle e diramazioni, è di tutta evidenza che tutti i fatti di reato accertati nella presente inchiesta sono stati, nessuno escluso, resi possibili da un apparato stabile, caratterizzato dalla presenza di numerose persone e dalla disponibilità di mezzi di ogni genere, dagli immobili, ai capitali, alle attrezzature più disparate. Se a ciò si aggiunge che i reati accertati (come già detto in numero ben superiori a quelli per cui si procede) rappresentano la conseguenza del normale modo di procedere dell'organizzazione, ne discende che coloro che vi hanno operato lo hanno fatto nella piena consapevolezza di far parte di una struttura organizzativa finalizzata a commettere tal genere di reato. Gli elementi sopra evidenziati, nel loro complesso, integrano completamente la fattispecie del reato di associazione per delinquere, contestato a tutti gli imputati, indipendentemente dal ruolo da essi assunto. Il principale problema che si pone nel configurare questo reato è costituito dal fatto che la presente inchiesta ha, per così dire, «ritagliato» la fattispecie associativa, sulla base degli episodi criminosi accertati, all'interno di una realtà molto più vasta, sia sotto il profilo personale che territoriale che organizzativo.

E' noto, a questo proposito, che gli imputati si difendono affermando che la loro associazione, lungi dal perseguire finalità illecite, ha natura religiosa e come tale gode di pieno riconoscimento da parte dell'ordinamento costituzionale. Come già si è detto affermazioni di questo genere, oltre che di difficile dimostrabilità, in relazione al valore semantico da dare ai termini «religione» e «religioso», sono irrilevanti ai fini della presente indagine; è pacifico infatti che la presenza di finalità lecite o comunque indifferenti, sotto il profilo penale, accanto ad altre finalità illecite, non fa venir meno il reato associativo. Semmai pone il problema della configurabilità dello stesso nei confronti di persone che, non avendo avuto parte attiva a nessun titolo, nella commissione dei reati specifici, possono aver aderito all'associazione unicamente in vista della realizzazione di scopi leciti, quali, nel caso di specie, lo svolgimento di corsi di studio, l'approfondimento del pensiero di R. L. Hubbard, e più in generale il conseguimento di uno stato di benessere, connesso anche alla funzione «protettiva» esercitata dal gruppo; in tali casi a prescindere dall'evidente ingenuità di chi affida la propria psiche ed il proprio patrimonio ad un'organizzazione più preoccupata del proprio arricchimento economico che dell'altrui arricchimento spirituale, non è in alcun modo provata la consapevolezza di chi vi ha aderito ad un disegno criminoso. Ciò vale sia per la massa degli adepti, per lo più succube ed ignara, sia per quegli organizzatori (c.d. «staff») che, non avendo partecipato a nessun titolo a fatti specifici di reato, non sono raggiunti dalla piena prova della consapevolezza di aver perseguito, in forma organizzata, finalità illecite.

Come si è avuto già occasione di rilevare in tema di concorso morale, i criteri adottati nella individuazione delle potestà criminose e dei loro autori, sono tali da limitare il numero di soggetti inquisiti tutt'al più peccano per difetto, anche in considerazione dei problemi connessi con la natura variegata ed ambigua del fenomeno. A questo proposito varrà comunque la pena di ricordare come l'organizzazione, a livello sia nazionale che internazionale presenti al suo interno uffici deputati a svolgere attività investigative non solo nei confronti dei propri adepti o ex adepti (e di qui nasce l'accanimento persecutorio nei confronti delle autorità pubbliche - e segnatamente la magistratura e gli organi di polizia giudiziaria - che si sono a vario titolo interessate dell'organizzazione stessa, come emerge dalla documentazione sequestrata. È un aspetto questo di particolare gravità specie dal punto di vista dell'inquinamento delle prove, ove si consideri che chiunque abbia motivi, pubblici o privati, di critica nei confronti dell'organizzazione, può fondatamente ritenere che questa indaghi su di lui, con la quasi automatica conseguenza di intimorire o quanto meno gravemente infastidire testimoni e fatti del presente procedimento e di ogni altro che venga intentato a carico di esponenti dell'organizzazione.

Se si passa dall'esame della struttura materiale e personale, dell'associazione per delinquere a quello delle sue finalità illecite, non può che farsi richiamo alle considerazioni svolte in tema di concorso morale: il fine precipuo dell'organizzazione criminosa è quello di drenare nelle proprie casse denaro pubblico e privato, con ogni possibile mezzo lecito od illecito e, in quest'ultimo caso, con prevalenza per metodi truffaldini che possono all'occorrenza assumere diversa connotazione in conseguenza delle condizioni delle vittime. L'accaparramento di rilevanti somme di denaro, ben testimoniato dai rapporti di P.G. della Guardia di Finanza, talora anche in funzione di una loro esportazione all'estero, non è certo in contrasto con il fatto che i singoli imputati abbiano dichiarato di non aver tratto alcun profitto dalle attività svolte per conto dell'organizzazione e di aver, al contrario, essi stessi dovuto rimetterci di tasca propria. Trattandosi di una struttura totalitaria e totalizzante è del tutto naturale che essa venga ad assumere, nella psicologia dei suoi appartenenti, una «personalità » indipendente e distinta da quella dei singoli individui, personalità che viene, di fatto, ad essere oggetto di una sorta di culto. Se infatti è del tutto indifferente, come già detto e ripetuto, che Scientology sia o meno una religione, non è peraltro privo di rilevanza il fatto che, come è dato reperire in tutta la documentazione interna, oggetto di «fede» non sia un'entità personale o personificata (come storicamente è dato riscontrare nelle confessioni religiosa) bensì la stessa organizzazione; non a caso non si parla della «fede scientologica», ove peraltro questa sorta di «ente supremo non trascendente» possiede più le caratteristiche, in nuce, di uno stato assoluto, che imponga ai propri sudditi una mistica patriottica, che non una divinità oggetto di un vero e proprio culto.

Le considerazioni che precedono non vogliono essere un contributo, di natura sociologica, alle ricerche, vive nella cultura contemporanea, sul fenomeno delle sette, ma una analisi dell'elemento teleologico della fattispecie associativa, sotto il profilo del totale asservimento dell'intelligenza, della volontà e degli interessi economici del singolo adepto, qualunque ne sia il ruolo, a quella sorta di ragion di stato che è il potenziamento dell'organizzazione.

Anche dal punto di vista dell'elemento soggettivo del reato associativo, analogamente a quanto si è già detto per i singoli reati-fine, il carattere apparentemente disinteressato dei comportamenti individuali non consente certo di affermare che gli imputati abbiano agito senza dolo; quest'ultimo infatti non viene in alcun modo scalfito dal fatto che le motivazioni della condotta illecita siano ricercabili anziché nel tornaconto individuale, nell'ottemperanza ad istituzioni diverse da quella statuale, quando proprio in questo atteggiamento che, in genere, si colora delle varie forme di fanatismo, trova radice la particolare pericolosità dei soggetti, in ragione della prevedibilità che essi non intendano in alcun modo desistere da tal genere di condotte. Lungi quindi dal mancare il dolo, esso in casi del genere è presente in forma particolarmente intensa, sempre naturalmente che tutti gli elementi, penalmente rilevanti, della fattispecie illecita siano oggetto di rappresentazione e volizione, il che si verifica quanto meno per tutti i soggetti che, ricoprendo incarichi organizzativi, sono sufficientemente addentro nell'organizzazione per poterne conoscere e discernere i metodi operativi.

Non può certo esser invocata una situazione di errore di fatto, che diventa scusabile solo quando cade su un elemento materiale del reato, ed attiene quindi esclusivamente alla sfera della percezione della realtà e non anche alla sua interpretazione ideologica. Sostenere il contrario significherebbe dar rilevanza giuridica ad una situazione di soggezione psicologica che, se può essere talora correttamente ancorata a specifiche previsioni normative (come nel caso dell'aggravante di cui all'art. 112 n. 3, applicabile agli, organizzatori), non può certo essere invocata per escludere la punibilità, senza cadere in petizioni di principio della cui ambiguità ha fatto giustizia la sentenza della Corte Costituzionale 96/1981 con cui veniva dichiarata l'illegittimità dell'art. 603 c.p. relativo all'ipotesi di plagio; l'autorevole insegnamento contenuto in tale sentenza è infatti che la nozione di «stato di soggezione» espresso dalla norma incriminatrice è talmente generico, impreciso ed indeterminato da rendere impossibile l'attribuzione ad esso di un contenuto oggettivo e razionale e da renderne quindi arbitraria l'applicazione. Se ne desume quindi che, nell'ordinamento vigente al di fuori delle situazioni che influiscono sull'imputabilità del soggetto (e che peraltro non hanno, se non marginalmente, attinenza con elemento soggettivo del reato) non può essere invocata alcuna situazione di dipendenza, soggezione o succubenza tale da incidere in qualche modo sulla libertà dall'agire individuale e quindi anche sulla responsabilità penale.


Vai alla seconda parte

 
 
 
INDICE
 
 
 

Copyright © Allarme Scientology. L'utilizzo anche parziale dei materiali di questo sito - testi, traduzioni, grafica, immagini, impaginazione e codice html - con qualsiasi mezzo e su qualsiasi supporto, non è consentita senza il preventivo consenso scritto del gestore del sito. Per richieste e chiarimenti contattare: allarmescientology@email.it